Mafia Capitale, Roma è pronta al processo

Questi i nomi all’intreccio fra politica e amministrazione coinvolti nel processo: e il vero dramma di Mafia Capitale è il livello di infiltrazione che il sistema criminale avrebbe raggiunto all’interno dell’amministrazione capitolina, la “macchina” di Roma Capitale, per così dire. Dirigenti, funzionari, impiegati del Comune erano in contatto con Salvatore Buzzi, ricevevano telefonate dai suoi collaboratori, ricevevano ed offrivano utilità: Angelo Scozzafava, dirigente del dipartimento del Comune di Roma; Emanuela Salvatori (già condannata), a capo della struttura di gestione dei nomadi del Comune; Luca Odevaine, che ha ottenuto gli arresti domiciliari, che è in Campidoglio fin dalle giunte di Walter Veltroni, poi è alla polizia provinciale, poi torna in Campidoglio. Uomini inseriti negli ingranaggi, negli uffici dove si scrivono i bandi di gara – che, è l’accusa, cuciono su misura delle cooperative e delle imprese indicate dal sistema criminale, a volte vedendosele addirittura dettate al telefono. Sono gli uomini della macchina amministrativa quelli, fra gli altri, contenuti nella famosa “lista dei 101”: l’indice dei nomi della relazione prefettizia da 800 pagine, elaborata dai tecnici del governo che hanno passato al setaccio atti e provvedimenti, appalti e affidamenti in odor di mafia, indicando quali dirigenti e funzionari potevano essere avvicinati, o addirittura strumento, dell’organizzazione criminale. Alla lista e alla relazione sono stati rimossi i segreti amministrativi, e potranno essere depositati come prove in dibattimento dalla procura.

Nell’aula Vittorio Occorsio del tribunale di Roma, e poi nell’aula bunker di Rebibbia dove dalla seconda udienza sarà trasferito il dibattimento che proseguirà con un calendario serratissimo da quasi 4 udienze a settimana, si insedierà la Decima Corte del Tribunale di Roma, presieduta da Rosanna Ianniellola giudice che ha già inferto oltre 200 anni di condanna alla mafia di Ostia, quella delle famiglie Spada e Fasciani: era dai tempi della Banda della Magliana che non si sentiva il termine “mafia” a Roma prima di quella sentenza. Davanti a lei, avvocati e imputati: non tutti, a dire la verità, perché nei confronti di Carminati, Brugia e Buzzi, più altri 15 imputati in regime di custodia cautelare è stato disposto il dibattimento a distanza, stanti le gravi ragioni di sicurezza e la particolare complessità del processo. Domani, nell’udienza inaugurale, si costituiranno le parti civili: che sono il Comune di Roma – il commissario prefettizio Francesco Paolo Tronca ha firmato oggi l’atto di costituzione, la Regione Lazio e gli enti rappresentativi: Libera, SOS Impresa, Cittadinanza Attiva e associazione antimafia Caponnetto. “Mafia Capitale”, spiegano a Giornalettismo i legali di parte civile, “si regge su due pilastri: da un lato il collegamento fra Massimo Carminati e i reduci della criminalità nera degli anni di piombo. Un legame che va oltre la militanza, un legame di guerra, di chi ha visto morire i propri camerati e in qualsiasi momento è pronto a tornare a coordinarsi, sostenersi, riattivare i vecchi legami. E’ questa rete che assume nella città un ruolo dirigente, grazie al secondo pilastro: l’esperienza del carcere. Tutti i principali indagati di Mafia Capitale hanno esperienze di carcerazione, sono pregiudicati o recidivi: questa seconda esperienza contribuisce a rinsaldare il loro legame identitario”.

Il processo sarà un punto di snodo per la storia politica della città. A testimoniare interverranno molti dei nomi che contano nella politica – sopratutto dal centrosinistra – nell’amministrazione, nella società. Salvatore Buzzi da solo ha depositato la richiesta di sentire 282 testimoni, e che testimoni.

Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, gli ex sindaci di Roma Ignazio Marino e Gianni Alemanno. E ancora l’eminenza grigia di Silvio Berlusconi, Gianni Letta, il governatore del Lazio Nicola Zingaretti, il vice ministro all’Interno Filippo Bubbico e i parlamentari in carica Micaela Campana, Umberto Marroni(entrambi del Pd) e Loredana De Petris (Sel). Ma anche magistrati, come il presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione Raffaele Cantone, prefetti, giornalisti e una sfilza di ex consiglieri ed ex assessori dell’amministrazione capitolina. Oltre ad una nutrita schiera di imputati di reati connessi. Sono in tutto 282 i nomi inseriti nella lista dei testimoni da ascoltare depositata dall’avvocato Alessandro Diddi, difensore di Salvatore Buzzi

Le difese cercheranno di dimostrare da subito, come dicevamo, che i reati forse sussistono, la mafia certamente no; in questo, la loro strada risulta indebolita dalle prime decisioni di Mafia Capitale: proprio ieri il GIP Anna Criscuolo ha condannato Emilio Gammuto, collaboratore di Salvatore Buzzi, a cinque anni e quattro mesi in abbreviato, confermando l’aggravante mafiosa.  Avendo confermato l’aggravante, il Gup presuppone l’esistenza di questa associazione mafiosa:Mafia Capitale per la prima volta viene messa per iscritto in una sentenza, il che va chiaramente a favore del lavoro compiuto dalla procura in questi anni. Ma sono tanti, ancora, gli inciampi sulla strada del processo: prima fra tutti, già domani, la reiterata richiesta di patteggiamento chiesta da Salvatore Buzzi.

Sul processo che avrà inizio il 5 novembre si allunga anche l’ombra di un rinvio sine die per una mossa a sorpresa dell’avvocato Alessandro Diddi, difensore di Salvatore Buzzi. Il legale del presidente della 29 giugno ripresenterà, prima dell’apertura del dibattimento, una nuova richiesta di patteggiamento a 3 anni e 9 mesi al collegio presieduto da Rosanna Ianiello. Nella proposta il difensore condizionerà l’applicazione della pena all’esclusione dell’associazione per delinquere di stampo mafioso. Al collegio a quel punto si prospetterà una triplice strada. Accogliere subito il patteggiamento: ipotesi, però, altamente improbabile perché supporrebbe una sconfessione immediata dell’impostazione dell’accusa che ruota intorno al 416bis. Accantonare la proposta e ridiscuterla nel merito al termine del dibattimento: via d’uscita per il collegio ritenuta forzata dal legale perché la formulazione dell’articolo 448 del codice di procedura penale impone al giudice di sciogliere subito la questione. Oppure, ed è l’insidia immaginata dal difensore di Buzzi, respingere il patteggiamento: strada che sarebbe obbligata per il tribunale secondo l’avvocato Alessandro Diddi. L’implicazione di questa terza opzione sarebbe devastante per il futuro del processo. Dopo aver respinto la richiesta, sarebbe, infatti, inevitabile per il collegio spogliarsi del procedimento perché, decidendo di ritenere infondata la proposta, vorrebbe dire che i giudici avrebbero già anticipato un giudizio sul merito del processo dopo la visione del fascicolo. A quel punto diventerebbe indispensabile trasferire il processo a un altro collegio con conseguente spostamento del dibattimento ad altro giudice.

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