Mafia, Riina: «L’agenda rossa di Borsellino? Fu presa dai servizi»
03/09/2014 di Redazione
Dalla cassaforte svuotata del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, all’agenda rossa scomparsa di Paolo Borsellino, passando per giudizi, insulti e sberleffi rivolti ai protagonisti della politica italiana, divisi in un elenco tra “buoni e cattivi”. Fino agli “ordini di morte” scagliati contro i suoi nemici, dal pm Nino Di Matteo a preti antimafia come Don Ciotti. Nelle oltre 1350 pagine di conversazioni intercettate nel carcere di Opera tra Totò Riina e il boss pugliese Alberto Lorusso (depositate agli atti del processo sulla trattativa) emerge non soltanto il profilo criminale del Paese, secondo la versione del “capo dei capi”, ma anche le “sue” ricostruzioni sui misteri del Paese. Non certo così inesperto da ignorare la possibilità di essere intercettato, Riina manda messaggi ambigui: «Un audio papello: è evidente che parla da Capo di Cosa Nostra che ha una strategia, un disegno per ricucire alleanze e tentare di rifondare l’organizzazione. Chi deve percepire ha sicuramente compreso», ha commentato sul Fatto l’ex pm palermitano Antonio Ingroia.
MAFIA, LE INTERCETTAZIONI DI RIINA – Nel giorno del trentaduesimo anniversario della morte del generale Dalla Chiesa, il mistero della cassaforte viene rievocato nelle dichiarazioni intercettate del capo-mafia: «Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte e glieli hanno fottuti». E poi: « Minchia il figlio faceva … il folle. Perché dice c’erano cose scritte», continua Riina nella conversazione intercettata a Opera il 29 agosto del 2013. Parole alle quali ha replicato lo stesso figlio, Nando Dalla Chiesa: «Non abbiamo bisogno della conferma del boss, lo diciamo da 32 anni».
Riina si sofferma anche su un altro mistero, quello legato all’agenda rossa di Borsellino, attribuendo ai servizi segreti la sua scomparsa: «Gliel’hanno presa ed è sparita». Nelle conversazioni con Lorusso, rievoca anche la vicenda legata alla perquisizione ritardata del suo covo, dopo l’arresto del 1993. La sua cassaforte? Nella versione di Riina, non conteneva documenti: «Io cose importanti non ne avevo, se le avevo le tenevo in mente».
RIINA E LA POLITICA – Nelle 1350 pagine, come sottolinea il “Fatto”, non mancano i giudizi sulla politica e sui protagonisti. Da Renzi («Questo è forte perché è giovane»), passando per Angelino Alfano (bollato come «vigliacco e traditore») e Massimo D’Alema («Il più disgraziato che c’è»). E le “simpatie”: da Andreotti («uno grande») a Marina Berlusconi («una seria»), fino a Daniela Santanché («una forte»). Riina si concede pure discorsi moralistici quando bolla Silvio Berlusconi come «un mutannaro» (mutandaro), accusandolo di essere un «porco, malato di minorenni». Ma a Berlusconi non perdona soprattutto di aver «tradito» le speranze mafiose. «Aveva il 66%, doveva mandare alla fucilazione i magistrati, aveva la corda per affogarli tutti». Ma «non ha fatto niente, è stato un gran sbirrone». Tutte le dichiarazioni sono state inserite agli atti del processo sulla trattativa.