Adinolfi ha scritto il suo biotestamento: «Non voglio morire come la Englaro»
16/12/2017 di Stefania Carboni
«Al momento che la sofferenza dovesse cessare, per morte o per guarigione che sia, ringraziate Dio in egual misura e festeggiate. Sia sempre fatta la Sua volontà e non la nostra». Mario Adinolfi, che ha preso benissimo l’ok alla legge sul biotestamento, ha scritto un lungo post su Facebook in cui dispone le sue volontà. Ovviamente chiede che non sia privato di idratazione e nutrizione: «Perché non voglio morire come Eluana Englaro».
LE MIE DISPOSIZIONI ANTICIPATE DI TRATTAMENTO
di Mario AdinolfiNel caso un incidente o l’evolversi di una… https://t.co/1mQ19tG1d9
— Mario Adinolfi (@marioadinolfi) 16 dicembre 2017
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Ecco qui il testamento di Mario per intero:
Nel caso un incidente o l’evolversi di una malattia mi mettano in condizione di non poter comunicare le mie volontà, dispongo che in nessun caso io sia privato di idratazione e nutrizione perché non voglio morire come Eluana Englaro, con le unghie conficcate nella carne e gemendo per l’immenso dolore provocato da un’agonia innescata dalla fame e dalla sete. Dispongo altresì che mi sia evitato ogni accanimento terapeutico ma che sul mio corpo ancora in vita sia apposta l’unzione degli infermi da un sacerdote della Chiesa cattolica, se in vita e reperibile chiedo che sia padre Maurizio Botta. Dispongo che sia mia moglie Silvia Pardolesi la fiduciaria che potrà prendere decisioni in mia vece, sentite le mie figlie Livia e Clara, ma in nessun caso potranno essermi negate cure vitali per la sopravvivenza anche se la qualità della mia vita successiva all’evento infausto dovesse essere gravata da pesante invalidità. Perché la vita mi è stata donata da Dio per il tramite dei miei genitori e a Lui sarà resa quando la richiederà. Denuncio con l’occasione la violenza collettiva resa al Paese con la legge detta “del testamento biologico”, spacciata per legge di libertà individuale e in realtà scritta solo per abbattere i costi della sanità provvedendo alla soppressione sistematica dei malati terminali innestando nel corpo di una nazione sana il virus necrofilo della cultura della morte. Al medico che mi avrà in cura ricordo il giuramento di Ippocrate: “Mai somministrerò a un paziente un medicamento che ne provochi la morte, anche se da lui richiesto”. Da 2.400 anni la nostra cultura medica e, in senso più ampio, la nostra civiltà si reggono su un comandamento semplice e inviolabile: non uccidere. Agli amici e ai parenti chiedo di stare lontano dal mio letto di dolore, sarà il momento più intimo della mia intera vita spesa in pubblico. Chiedo però loro intense preghiere per la salvezza della mia anima di grave peccatore. Al momento che la sofferenza dovesse cessare, per morte o per guarigione che sia, ringraziate Dio in egual misura e festeggiate. Sia sempre fatta la Sua volontà e non la nostra.
(foto copertina Ansa)