Matteo Salvini e quelle cravatte che gridano vendetta
11/12/2015 di Dea Petronius
Vederlo l’altra sera a cena in gessato grigio scuro con camicia azzurra, scura, circondato da ex socialisti ed autisti Atac ad inseguire non si sa quale sorta di consenso non ci ha alleviato la pena quotidiana alla quale ci sottopone da tempo Matteo Salvini. No, un gessato scuro non basta. E peraltro il gessato, ultimamente uscito dai radar dei trendsetter, bisognerebbe saperlo portare. Mentre pare evidente ai più che Salvini sia in grado di portare solamente le felpe con sopra cuciti i cartelli stradali dell’Anas.
Ma il dolore e la pena che colpiscono quotidianamente noi poveri amanti neanche del bello, ma almeno del decente, Salvini li alimenta violentando sistematicamente dozzine di povere cravatte. Quasi sempre di colore verde acceso, cangiante. Una tonalità che negli anni da verde semaforo è diventata verde mioddio. E c’è da rabbrividire non solamente all’idea della scelta del tessuto, ma anche all’imaginarsi il laboratorio di cotal manifattura, dove sarte dall’indubbia integrità morale aggrediscono con fili conniventi un metro di stoffa che tutto meriterebbe di divenire, meno che una cravatta.
Ma la pervicacia con la quale Salvini si è, nel tempo, andato abbonandosi ad una insufficienza costante quando parliamo di stile (in realtà qui stiamo parlando di presentabilità, ma vabbè) è raccontata soprattutto dalla sua noncuranza per un accessorio che più di ogni altro racconta l’essere umano maschile. Di ieri, di oggi e di domani. Sì, anche di domani. Anche di quando ahinoi le cravatte saranno sempre di meno. Perché è meglio una cravatta non indossata, che un pezzo di stoffa verde mela usato come corda per chiudere il collo della camicia. Perché questo Salvini fa (leggi anche “questo gli permettiamo di fare”). È evidentemente ingrassato negli anni e non si è curato minimamente di passare alla misura successiva di collo. Capita a molti e non sarebbe stato difficile acquistare camicie più grandi, ma lui no. Lui non chiude il colletto della camicia neanche se deve essere ricevuto dal presidente della Repubblica e si ostina così a trasmettere la sofferenza della sua povera, incolpevole, cravatta.
Che oltre che a dilatarsi fino all’inverosimile per poter contenere un collo oramai trabordante, rende inutili le vele della camicia. Le quali così facendo si alzano inarcandosi, trasmettendo una sensazione di trasandato e trascurato che, perdonatemi, colui che vuole rappresentare qualcuno, fosse anche la classe dei propri figli alla materna, non si può permettere. E il sapere che ci sono percentuali a due cifre di consenso a cui tutto questo va bene, mi fa venir voglia di chiudere qui questa mia rubrica.
(ANSA / MATTEO BAZZI)