Quando un mendicante vale meno del suo cane
28/07/2017 di Antonio Amorosi
Siamo in Romagna. Un mendicante, malnutrito e malandato chiede l’elemosina per le strade di Cesena. È il 26 giugno del 2012 di una bella giornata con qualche nuvola in cielo. L’uomo, un romeno di 46 anni, ha di fianco a sé forse il suo unico amico, un cucciolo di pastore tedesco, con il quale divide tutto. La gente li supera e nessuno li nota. Poi un passante osserva bene il cane e comincia ad inveire contro l’uomo. A quel punto chiama i vigili che accorrono: il pastore tedesco sembra malato. I vigili verificano e decidono di sottrarre il cane al mendicante portandolo al canile dove verrà curato. Sì, perché ha la congiuntivite e lui non gliel’ha medicata. Il mendicante viene così denunciato per maltrattamenti. L’uomo che è povero e senza fissa dimora resta per strada, ancora malato e malnutrito.
IL MENDICANTE CONDANNATO PER MALTRATTAMENTI AL CANE
Intanto si mette in moto la macchina della giustizia. Passano due anni, siamo nel 2014, e un giudice di Forlì decide di condannare per maltrattamenti il mendicante, che dovrà pagare 2000 euro di multa. Nessuno considera che l’uomo era malandato e non riusciva a curare se stesso, figuriamoci il cane. Oltretutto non pagherà mai quella multa visto che è nullatenente. Avranno fatto bene a togliergli il cane per curarlo? Forse sì, visto che non era in grado di farlo lui, ma è un mistero come non si siano accorti che l’uomo è in condizioni simili al pastore tedesco. Di certo nessuno gli presta soccorso o gli dà un aiuto. Eppure Cesena non ha gli homeless ad ogni angolo di strada, ed è una città ricca. Ma l’avvocato del mendicante, un legale d’ufficio assegnato dal tribunale, non esita a far ricorso alla Cassazione. I reclami in
Cassazione però non devono entrare nel merito del contenuto delle sentenze, sindacare cioè sul fatto accaduto. Sono ricorsi che segnalano eventuali errori di procedura, di diritto.
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L’avvocato chiede le attenuanti generiche perché il suo assistito è indigente. Ma questo non è un motivo formale che può essere sottoposto alla Cassazione. C’è un errore. Il ricorso non è legittimo e la settima sezione della suprema Corte lo rigetta. La sentenza è confermata. E così siamo arrivati ad oggi, nel 2017. Si racconta che anche nelle stanze della Cassazione i giudici erano colpiti per l’inumanità della storia. Tanto assurda quanto inutile. Sarebbe bastato infatti aiutare sia il cane che l’uomo e non mettere in moto un procedimento lungo 5 anni. Eppure i giudici non possono che attenersi alla legge e rigettare il ricorso confermando la condanna verso il mendicante.
(Foto di un mendicante da archivio Ansa)