Mika risponde agli insulti sul manifesto: «Se non avessi reagito avrei tradito me stesso»
12/08/2015 di Redazione
Mika
scrive una lunga lettera pubblicata sul Corriere della Sera, rompendo il silenzio sul caso del manifesto di un suo concerto imbrattato con insulti e scritte omofobe. Dopo quell’episodio, accaduto a Firenze, i fan del cantante lo avevano difeso sui social, seguiti da quanti si sono schierati contro questo brutto fatto. Oggi Mika interviene in prima persona sulla vicenda spiegando che, se avesse taciuto, avrebbe tradito sopratutto se stesso:
Quando ho visto su Instagram la foto del poster di Firenze, con la mia faccia imbrattata, mi sono sentito triste, umiliato. Il primo istinto è stato: non dire niente a nessuno, non reagire. Sono in tour, posso girarmi dall’altra parte, esibirmi e stare bene. Spingere lontano gli insulti. Ma i fan hanno iniziato a parlarne, gli amici a scrivermi messaggi. E mi sono reso conto che la mia prima reazione era ancora quella di un tempo, quella di una persona molto giovane che si sentiva impotente. A scuola ero così, inerme. Se allora avessi reagito mi avrebbero picchiato e non avrei ottenuto altro che tornare a casa con un livido in faccia. So che cos’è il bullismo, mi venivano addosso. Per razzismo, per il fatto che mia madre era grassa o perché in quel periodo avevamo problemi di soldi. Soprattutto, l’80% delle volte, per la mia sessualità. Prima ancora che io fossi consapevole della mia sessualità.
Continua Mika, raccontando la sua esperienza con i bulli, fino alla presa di coscienza sulla necessità di reagire, per sé e per gli altri:
Poi ho capito. È una delle poche volte nella mia vita in cui sono stato costretto a scegliere il confronto diretto su bullismo e omofobia, mi sono reso conto di quanto le cose siano cambiate, di quanto io sia cambiato. È stato per la reazione delle persone sui social network, per i miei amici e, devo ammettere, per i miei compagni di lavoro. Alcuni tra loro sono gay e sono rimasti feriti, perché sono legati a quello che faccio tutti i giorni: si sono sentiti come se fossero stati insultati in prima persona.
E così quella foto, quella del suo manifesto imbrattato con scritte offensive, è diventata la nuova immagine dei suoi profili social:
Rifiutando di riconoscere gli insulti, avrei commesso un errore: avrei dimenticato il tredicenne che sono stato e avrei fatto male alle persone che non hanno quel lusso e quel privilegio. Io posso salire sul palco. […] È il motivo per il quale ho deciso di mettere quell’immagine come foto del mio profilo su Twitter e Instagram. Era esattamente quello che mi avrebbe spaventato a 13 anni. Allora non avrei avuto il coraggio, non potevo averlo. Ho fatto l’opposto di quanto avrei fatto a scuola.
E il gesto del cantante vuole essere un punto di inizio:
La cosa più complicata adesso è capire come andare oltre quell’immagine, proprio per la sua forza. […] Sì, finché questo provoca una discussione costruttiva, finché aiuta le persone a riflettere su come un epiteto malpensato e superficiale possa far sentire gli altri. Ma quella parola è comunque una ferita. È ancora molto forte, ha un sacco di implicazioni negative e può fare male. Non accettiamola come una parola normale. Ma non facciamo più finta che non esista: sarebbe molto più pericoloso.
(Photocredit copertina: Cindy Ord/Getty Images)