Nullità matrimonio, Papa Francesco così prepara il Sinodo della Famiglia
09/09/2015 di Tommaso Caldarelli
Nullità matrimonio, Papa Francesco così prepara il Sinodo della Famiglia di ottobre, l’assemblea ordinaria dell’episcopato cattolico che aprirà i battenti il prossimo mese, e per la quale in maniera sotterranea gli schieramenti dei vescovi coinvolti sono già al lavoro a colpi di dibattiti, posizionamenti e libri a tesi. L’assise dello scorso anno portò all’emersione, con quella “parresia”, libertà di parola, che lo stesso Papa Francesco aveva auspicato, di posizioni anche molto distanti fra i pastori della Chiesa in materia di morale familiare: aveva tenuto banco la questione del ruolo nella cattolicità dei divorziati risposati.
NULLITA’ MATRIMONIO, PAPA FRANCESCO COSI’ PREPARA IL SINODO DELLA FAMIGLIA
Uno, due, tre: “Tre cose grosse, belle big”, le definisce un addetto ai lavori in Vaticano: sono i tre provvedimenti che Papa Francesco ha di recente emesso: il primo, la possibilità per i sacerdoti di rimettere autonomamente il peccato di aborto senza la previa autorizzazione del vescovo diocesano; l’invito a tutte le parrocchie – non le diocesi, tutte le singole parrocchie – ad ospitare una famiglia di rifugiati; e da ultimo, la riforma della procedura di dichiarazione di nullità del matrimonio religioso, un intervento atteso – spiegano oggi gli addetti ai lavori – da anni. E che contribuisce a sgrossare l’ordine del giorno del Sinodo sulla Famiglia, che già aveva discusso del tema l’anno scorso, registrando fra i vescovi intervenuti un consenso quasi unanime riguardo l’ipotesi di un intervento su questa parte del diritto canonico. Non unanime, quasi unanime, come ricorda sul Foglio di oggi il vaticanista Matteo Matzuzzi.
Durante la conferenza stampa è stato affermato che il Pontefice ha deciso di promulgare le modifiche al codice di diritto canonico prima del Sinodo sulla famiglia perché era evidente il consenso pressoché unanime sui cambiamenti da adottare. Una unanimità che, però, non pare sussistere, se si legge il paragrafo 115 dell’Instrumentum laboris diffuso lo scorso giugno: se sull’eliminazione della doppia sentenza conforme non c’erano troppe resistenze, sui poteri da assegnare al vescovo diocesano sì. Si legge infatti che “non riscuote unanime consenso la possibilità di un procedimento amministrativo sotto la responsabilità del Vescovo diocesano, poiché alcuni ne rilevano aspetti problematici”
E invece, come è ormai noto, per i casi in cui entrambi i coniugi lamentano la nullità del vincolo e in cui si presentano motivi patenti di nullità, sarà chiamato in causa proprio il vescovo diocesano che tornerà ad essere giudice unico della causa di nullità; se poi riterrà che manchino i presupposti, rimanderà la causa al tribunale ordinario, che comunque potrà decidere con maggiore sveltezza, vista l’abolizione della necessità della doppia sentenza conforme.
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In un intervento sull’Osservatore Romano il decano della Sacra Rota Romana, monsignor Pio Vito Pinto, ha sottolineato che la scelta del Papa non è soltanto giuridica o “pratica”, ma è assolutamente pastorale: per Papa Francesco i divorziati risposati sono “i nuovi poveri” che la Chiesa rischia di dimenticare.
Francesco, con questa legge fondamentale dà il vero inizio alla sua riforma: ponendo al centro i poveri, cioè i divorziati risposati tenuti o considerati lontani, e chiedendo ai vescovi una vera e propria metànoia. Cioè una “conversione”, un cambiamento di mentalità che li convinca e sorregga a seguire l’invito di Cristo, presente nel loro fratello, il vescovo di Roma, di passare dal ristretto numero di poche migliaia di nullità a quello smisurato di infelici che potrebbero avere la dichiarazione di nullità — per l’evidente assenza di fede come ponte verso la conoscenza e quindi la libera volontà di dare il consenso sacramentale — ma sono lasciati fuori dal vigente sistema.
Gli fa eco il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, intervistato su Repubblica.
Il fatto che si possa accedere con maggiore facilità ai processi, potrebbe convincere molti divorziati risposati a ricercare se davvero la loro prima unione era valida o meno. Un processo meno complesso e più veloce può spingerli a discernere meglio il passato e dunque eventualmente ad avere la nullità
Insomma, non c’è linguaggio ovattato che tenga: la riforma del Codice di Diritto Canonico viene messa in campo perché, come disse il Papa emerito Benedetto XVI, moltissimi matrimoni celebrati in Chiesa sono, sostanzialmente, nulli. E così, con lo sveltimento delle procedure, si auspica che almeno una parte, e si spera una buona parte, del dossier “divorziati risposati nella Chiesa Cattolica”, si sgonfi attraverso strumenti già previsti e rodati, sebbene estremamente farraginosi, dell’ordinamento ecclesiastico; e attraverso il recupero del ruolo dei vescovi che rientra, anch’esso, nello spirito del pontificato francescano: un ritorno alla Chiesa delle origini, dove il vescovo, che riceve dal Papa il suo mandato, lo utilizza per legare e sciogliere, assumendosi in prima persona il peso delle decisioni pastorali senza ripararsi dietro a tecnicismi giuridici.
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Decongestionare dunque l’imminente Sinodo è uno degli effetti della riforma del codice canonico che entrerà in vigore l’8 dicembre, giorno di apertura della Porta Santa e di inizio del Giubileo della Misericordia. Per quella data, il Sinodo ordinario si sarà già concluso, e tutti i movimenti tellurici delle cordate episcopali avranno trovato il loro sfogo. Andrea Tornielli sulla Stampa fa il punto di quanto stia succedendo.
La schiera dei contrari alla comunione per i divorziati risposati annovera varie personalità, come ad esempio i cardinali italiani Angelo Scola, Carlo Caffarra e Camillo Ruini, e curiali in posizione chiave come Müller, il Prefetto dei vescovi Marc Ouellet, il cardinale Penitenziere Mauro Piacenza. E il patrono dell’Ordine di Malta, il conservatore statunitense Raymond Leo Burke. Mentre tra gli aperturisti, con toni particolarmente forti, si è levata negli ultimi mesi la voce del cardinale Reinhard Marx, esponente di spicco dell’inquieta Chiesa tedesca.
La riforma del codice canonico punta a calmare un po’ gli animi, accogliendo la linea sul quale si era registrato il consenso, continua Tornielli, del 90% dei vescovi del Sinodo. Proprio il ruolo dei vescovi, secondo gli addetti ai lavori, è ora il versante più critico della nuova riforma: per dirla con le parole di un esperto di cose vaticane intercettato sotto i portici del Bernini, “ora i vescovi dovranno mettersi a studiare”, aprire i libri e capire come funzioni la riforma approvata dal Papa. Sempre sulla Stampa, Davide Venturini, avvocato di Sacra Rota, sembra condividere questa criticità.
I vescovi sono chiamati a fare da giudici: secondo lei, è un ruolo che possono svolgere?
«Anche questo andrà capito. Certo, per loro resta ferma la facoltà di appoggiarsi al tribunale ecclesiastico più vicino. E credo che molti vi faranno ricorso. Specienellediocesipiùgrosse, è poco realistico che il vescovo possa vagliaremigliaia di richieste. Anche perché c’è chi si rivolgerà a loro solo in modo preventivo, solo per far valutare il proprio caso
In ogni caso, quel che è certo è che la linea del Papa darà l’impronta al Sinodo di ottobre: “Sarà molto meno dibattuto”, si sente dire fra i più informati, “perché il Papa continua a dimostrare che, alla fine, è lui che decide”.