Paolo Barnard e la MEMMT: tutti i miti da sfatare
27/01/2014 di Alessandro Guerani
La MMT (Modern Money Theory) è una teoria economica, nata dalla scuola cartalista del ‘900, proposta principalmente da vari economisti americani della Università del Missouri-Kansas City e che è stata proposta in questi anni in Italia da vari personaggi, fra i quali Paolo Barnard come possiamo vedere in questa recente trasmissione in cui enuncia alcuni dei principi della MMT come lui la interpreta. Vediamoli un po’ più in dettaglio.
MEMMT, MMT, MONETA E TASSE – La moneta ha tre funzioni basilari: mezzo di pagamento, riserva di valore ed unità di conto. Tralasciando per il momento quest’ultima che non ci interessa, credo capirete subito che ridurre il valore della moneta al solo scopo di mezzo di pagamento, fra l’altro pure parziale riferendosi esclusivamente ai pagamenti dei cittadini verso la Pubblica Amministrazione, e pretendere che abbia più valore di ora è alquanto controintuitivo. La moneta ha valore come mezzo di pagamento in quanto “solve”, cioè estingue, le obbligazioni che sono giuridicamente sottoposte alle legge del paese che la adotta come moneta legale. In parole semplici, se Caio ha un debito con Tizio sottoposto alla giurisdizione italiana, Tizio è obbligato a ricevere in pagamento la moneta che ha corso legale in Italia.
“I debiti pecuniari si estinguono con moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento e per il suo valore nominale.” (art.1277 Codice Civile)
Ovvio quindi che lo Stato Italiano si farà non solo pagare nella moneta da lui indicata come legale, ma considererà validi TUTTI i pagamenti effettuati con essa ad estinzione di obbligazioni contratte in forza delle sue leggi. Questo è il corso forzoso. Addirittura in passato alcune monete avevano validità solo per i pagamenti fra privati, mentre lo Stato non le accettava (tipico il caso delle monete “piccole” o divisionali). Chiaro fin qua?
PAOLO BARNARD E LA RISERVA DI VALORE – Arriviamo poi alla funzione di riserva di valore. Qui i discorsi sono più complicati perché entrano in gioco le aspettative dei soggetti economici, soprattutto riguardo all’inflazione, cioè alla perdita di potere d’acquisto della moneta all’interno dello Stato. Con tassi di inflazione non elevati, tasse o non tasse, pochi accettano il rischio di subire perdite dovute alla conversione/riconversione fra moneta a corso legale ed altri beni di investimento (valute straniere, metalli preziosi, altri beni rifugio) per le loro riserve di liquidità. Non successe in forma rilevante nemmeno con l’inflazione a due cifre dell’Italia in pieno Oil Shock negli anni ’70. Diverso è invece il caso dell’iperinflazione dove c’è una spirale di perdita di valore perché tutti cercano di “sbarazzarsi” il prima possibile della moneta convertendola in altre valute o in beni reali. Ma anche in questo caso le tasse possono ben poco, perché al momento di pagarle ci sarà sempre qualcuno disposto a cedere valuta nazionale in cambio di qualche bene “rifugio” o valuta forte. Pensate che un argentino o un turco oggi avrebbero problemi a scambiare dei dollari contro la loro valuta nazionale al momento di pagare le tasse?
IL PROGRAMMA DI PIENA OCCUPAZIONE NAZIONALE – Arriviamo qui al secondo punto esposto nel filmato: il programma di piena occupazione nazionale a zero disoccupati. Qui è veramente difficile riuscire a capire bene cosa si intenda, sembrerebbe un misto fra lavori socialmente utili generalizzati ed un piano di investimenti pubblico a debito. Come sempre in economia il problema non è tanto il debito che si crea per investire, ma se l’investimento riesce a ripagare il costo del debito. Come avevamo spiegato nell’articolo sul Fiscal Compact, se gli interessi sul debito sono superiori alla crescita nominale del PIL il primo tenderà ad espandersi all’infinito e con velocità crescente. È il semplice principio della leva finanziaria. Questo non vuol dire essere ossessionati dal debito (sia pubblico che privato). Aziende oggi floridissime sono cresciute attraverso forti indebitamenti, così come degli imperi sono stati creati col debito (ricordiamo l’UK che uscì dalle Guerre Napoleoniche come maggiore potenza mondiale ma con il 250% di debito pubblico/PIL o il 122% degli USA nel 1946), ma più si investe più il ritorno sarà minore secondo la legge dei rendimenti decrescenti. Scambiare un necessario intervento pubblico volto a stimolare l’economia in tempo di crisi, magari con investimenti mirati ad accrescerne la competitività, con un sostegno continuo dello Stato a riassorbire la disoccupazione prodotta dal settore privato sembra solo un gigantesco piano di privatizzazione dei profitti e socializzazione delle perdite. Senza contare le difficoltà ad impiegare milioni di persone in maniera utile, non solo per la collettività che gli darebbe lavoro, ma pure per loro in modo da potersi reinserire professionalmente in futuro nel privato. Gli unici piani di piena occupazione funzionanti nella storia sono stati quelli bellici o dove le persone erano ridotte in condizione servile. Preferiremmo evitarli, vero?
LA VALUTA NAZIONALE E LE IMPORTAZIONI – Ci dispiace doverlo ripetere continuamente, ma le materie prime si comprano per la stragrande parte in dollari. Dovete rassegnarvi, oppure vincere la prossima guerra mondiale. Ma anche le altre importazioni si pagano solitamente in dollari o nella moneta del paese esportatore, quindi in ogni caso le opzioni per un paese, che non sia gli USA, sono:
1) produrre beni che sono appetibili all’estero e con il ricavato pagare le importazioni
2) indebitarsi per pagare le importazioni
3) vendere propria valuta per comprare valuta estera, che alla fine si riduce ai casi 1 o 2 perché nessuno la accetta se non per usarla poi per comprare tuoi beni o per comprare tuo debito
Capite facilmente che la soluzione ottimale sia la 1, ma ovviamente ci possono essere sfasamenti dell’economia che obbligano alla 2 o 3. Niente di grave di per sé se si controbilancia magari con un surplus di esportazioni successivamente, cioè quando la bilancia commerciale rimane in sostanziale pareggio nel tempo.
IL DISAVANZO CRONICO – Quando però il disavanzo commerciale con l’estero diventa cronico, qualsiasi situazione in cui i mercati iniziano a non credere che il paese riesca a ripagare i suoi debiti con i beni che può produrre, fa iniziare la corsa a rientrare dai propri crediti. Quello che state vedendo in questi ultime mesi da quando la FED ha iniziato a parlare di “tapering”, cioè di rendere più costoso il prendere a prestito dollari. A quel punto ci sarà un eccesso di offerta sul mercato della valuta del paese in difficoltà, da cui i cosidetti “overshooting” speculativi sul cambio, che sono più forti maggiormente l’economia si è basata sui debiti verso l’estero. E giusto per esser chiari, non è che vale solo per la lira turca, o il peso argentino, è successo pure per la sterlina nel 2007-9 come avevamo visto. È chiaro che nel caso dell’UK, come del resto l’Italia, essendo nazioni con una base industriale e finanziaria importante, oltre un certo punto la speculazione si ferma, il cambio ritraccia sui fondamentali del paese e si crea un equilibrio di cambio e di bilancia commerciale da cui ripartire. Ma propagandare questa situazione come un “non c’è nessun problema, compriamo con la nostra valuta all’estero” ce ne corre e mostra un impianto di idee tipicamente “made in USA” perché loro appunto emettono la valuta di riserva mondiale, il famoso “privilegio esorbitante” di cui parlava DeGaulle ma di cui nemmeno loro ne possono abusare più di tanto senza avere qualche ripercussione economica, sennò avremmo ancora in vita il sistema di Bretton Woods. La vita, e l’economia in particolare, è fatta di trade-off, scelte di costo-opportunità, e non di miracoli. Statece.