Paolo Scaroni, il tifoso picchiato dalla polizia che cerca giustizia
29/10/2013 di Maghdi Abo Abia
Le Iene questa sera proporranno, a firma di Matteo Viviani, un pezzo in cui si ripercorrerà la storia di Paolo Scaroni, un tifoso del Brescia che nel novembre del 2005, al termine della sfida tra l’Hellas Verona e le Rondinelle, rimase gravemente ferito in uno scontro tra tifosi ed agenti.
CHI È PAOLO SCARONI – Il ragazzo venne ricoverato in coma, condizione dalla quale uscì solo dopo oltre un mese rimanendo invalido al 100 per cento a causa delle ferite subite negli scontri. Paolo Scaroni ha raccontato la sua storia nel 2009, con le parole pubblicate sul sito Brescia 1911 Curva Nord chiedendo l’attenzione del Presidente della Repubblica e dell’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni, spiegando come il 24 novembre 2005 sia cambiata la vita di un ex allevatore di tori di Castenedolo, alla stazione di Verona Porta Nuova. Paolo ha spiegato che quel giorno è voluto andare in Veneto per vedere la Leonessa e che, dopo la partita, è stato scortato in stazione senza difficoltà apparenti.
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PAOLO SCARONI, LA LETTERA – E nonostante i binari fossero deserti, ad un certo punto la celere ha colpito con una carica di alleggerimento per mantenere l’ordine pubblico, picchiando proprio Paolo con il manganello. Lo stesso reparto ha osteggiato l’intervento dell’ambulanza ma il giovane è riuscito ad arrivare all’ospedale di Borgo Trento, dov’è rimasto molti mesi, mentre la famiglia riceveva intimidazioni e minacce, così come accaduto agli amici. Le indagini si sono svolte così:
In seguito alle gravissime lesioni subite, presso la Procura della Repubblica di Verona è iniziato un procedimento a carico di alcuni poliziotti e funzionari identificati quali autori delle lesioni da me subite. Nonostante il Giudice per le Indagini Preliminari abbia respinto due volte la richiesta d’archiviazione, il Pubblico Ministero non ha ancora esercitato l’azione penale contro gli indagati.
Mi domando per quale ragione ciò avvenga e perché mi sia negata giustizia.
Oggi, dopo avere perso quasi tutto, rimango perciò nell’attesa di un processo, nemmeno tanto scontato, considerati i precedenti ed i tentativi di screditarmi. Oltretutto i poliziotti erano tutti a volto coperto, quindi non identificabili (com’è possibile tutto questo?), sebbene a comandarli ci fosse una persona riconoscibilissima.
Dopo le tante bugie e cattiverie uscite in modo strumentale sul mio conto a seguito della vicenda, aspetto soprattutto che mi venga restituita la dignità.
[…]
Le mie funzioni fisiche sono state ridotte notevolmente, e nonostante la lunga riabilitazione a cui mi sottopongo da anni con molta tenacia non avrò molti margini di miglioramento. Questo lo so quasi con certezza: l’unica cosa funzionante come prima nel mio corpo infatti è il cervello, attivo come non mai. Dopo quattro anni non ho ancora stabilito se questa sia stata una fortuna.
Ho perso il lavoro, sebbene abbia un padre caparbio che insiste nel mandare avanti la mia ditta, sottraendo tempo e valore ai suoi impegni.
Ho perso la ragazza.
Ho perso il gusto del viaggiare (il più delle volte quelli che erano itinerari di piacere si sono trasformati in veri e propri calvari a causa delle mie condizioni fisiche), nonostante mi spinga ancora molto lontano.
Ho perso soprattutto molte certezze, relative alla Libertà, al Rispetto, alla Dignità, alla Giustizia e soprattutto alla Sicurezza.
PAOLO SCARONI, IL PROCESSO DI PRIMO GRADO – Lo stesso sito ci propone la sentenza integrale e le motivazioni del primo grado che hanno portato all’assoluzione per insufficienza di prove per sette poliziotti imputati mentre l’ottavo, l’autista della camionetta, non ha commesso il fatto, nonostante la corte abbia ammesso che sia stato usato un manganello, che sono stati scagliati più colpi, che lo strumento era vietato dal ministero dell’interno, che la carica non è stata autorizzata, che il lancio di lacrimogeni era esagerato, che i poliziotti incaricati delle riprese non abbiamo immortalato la carica, che le lesioni potevano cagionare la morte, che le altre riprese siano state manomesse. Ma il fatto che avessero agito a volto coperto ha portato ad un’impossibilità di stabilire chi ci fosse dietro quei passamontagna. Le responsabilità della polizia sono state accertate. Ma non ci sono colpevoli. Ora inizierà il processo d’appello, e Paolo spera di ottenere la giustizia che cerca da otto anni. (Photocredit Lapresse)