Papa Francesco e i preti che non vogliono accogliere i profughi (e fanno finta di non ascoltare le sue parole)

Il Giubileo della Misericordia si aprirà il prossimo 8 dicembre, ma i sacerdoti sembrano non essersene accorti: Fabrizio Gatti sull’Espresso ha fatto un lungo viaggio in Italia e in Europa e ha scoperto che Papa Francesco chiede di accogliere i profughi, ma i preti, tendenzialmente, non lo fanno. Un clandestino, di nome Bilal, arriva dal mare e cerca ospitalità per raggiungere la Germania: in realtà, è il reporter dell’Espresso, che con la stessa identità aveva già affrontato il Mediterraneo nella sua celebre inchiesta in cui condivideva con i migranti il viaggio nelle mani degli scafisti.

PAPA FRANCESCO CHIEDE DI ACCOGLIERE I PROFUGHI, MA I PRETI NON LO FANNO

Ora, Bilal, ovvero Gatti, mette alla prova la Chiesa di Francesco.

Martedì 13 ottobre, un profugo curdo sfuggito alla guerra attraversa le navate di Santa Maria Maggiore,che con san Pietro è una delle quattro basiliche del Papa. E’ sopravvissuto ai crimini dello Stato Islamico e ai bombardamenti dell’esercito turco. Cerca un posto dove far dormire sua moglie e due bambini piccoli. Non per sempre. Soltanto per una, due,  al massimo qualche notte, in attesa di proseguire il viaggio verso il Nord Europa: “Papa Francesco ha detto che ogni parrocchia, ogni comunità religiosa dovrebbe accogliere una famiglia di profughi”.

Ecco la risposta standard che Bilal, Fabrizio Gatti, riceve ai quattro angoli dell’Italia.

“Papa Francesco può dire qualsiasi cosa, qua non è possibile. Non esiste”.

Da Roma, Fabrizio Gatti visita tutte le località di confine del nord Italia in cui gli immigrati si affollano,  cercando di varcare le Alpi, per arrivare in un’Europa che voglia accoglierli.  Da Bardonecchia a Courmayeur,al Brennero, fino in Germania nella parrocchia di Papa Ratzinger, o nei santuari di Loreto.

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Bardonecchia è un passaggio obbligato per evitare il blocco dei profughi alla frontiera di Ventimiglia-Mentone. Dal colle del Frejus cadono scrosci di vento  gelido. La canonica della chiesa di Sant’Ippolito è una bella casa a due piani, cinque finestre per lato, i gerani affacciati al balcone. Un citofono. Apre un sacerdote, forse il parroco. La tonaca lunga, una ventina di bottoni, un grande affresco dietro di lui. Bilal parla un inglese grossolano, un po’ di arabo, poche parole di italiano. Si presenta come profugo iracheno e spiega che la sua famiglia lo sta raggiungendo. Chiede un tetto per una o due notti dove riscaldare i bambini, in attesa di passare il confine. Il prete risponde soltanto in italiano, ma si capiscono: “Qui non c’è posto per dormire”, dice lui: “E dove ti metto? Perché tu devi andare in albergo”.

La storia si ripete quasi ovunque. Tranne in Val d’Aosta.

Sette chilometri più a valle, Pré Saint Didier non è solo il bivio per passare in Francia da La Thuile e dal Piccolo San Bernardo. Nel febbraio 1947 da qui sono saliti pieni di brividi e neve Egisto Corradi, il grande giornalista, Sarino Carruso, barbiere disoccupato di Sant’Angelo di Brolo in Sicilia, e la sua valigia piena di fichi secchi. (…) E’ la via verso la salvezza percorsa da migliaia di italiani durante il fascismo, la Seconda guerra mondiale e l’emigrazione della miseria che l’ha seguita. Richiedenti asilo e clandestini, direbbero di loro oggi. Ed è come se l’impronta del loro dolore si respirasse ancora nell’aria. La generosità di Don Rodolfo, il parroco di Pré Saint Didier, non si ferma alla porta. “Venga, venga”, dice a Bilal e lo accoglie in casa. Telefona al nuovo parroco di Entreves, il villaggio subito dopo Courmayeur: “C’è qui un signore iracheno e domani dovrebbe arrivare sua moglie con due figli”. Lo chiama proprio così: signore iracheno. “Mi chiedeva se c’era una casa di religiosi per una o due notti, perché poi vanno in Francia…”, continua don Rodolfo. “Io ve lo posso accompagnare perché lui non ha la macchina”. L’unico sì in tre settimane non ha bisogno di suppliche.

“Il Papa può dire qualsiasi cosa…”, ripetono in tanti, anche a Marktl, paese natale di Papa Ratzinger: “E’ difficile”, dice il parroco della chiesetta, ritirandosi nella sua “villa parrocchiale lussuosa, due piani e svariate stanze”. Anche i frati francescani della basilica di Santa Maria Maggiore, “curvi sulla tastiera del computer”, dopo aver indirizzato Bilal altrove, “tornano alle loro faccende”. Il Papa, può dire qualsiasi cosa.

Copertina: AnsaFoto

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