Pensioni: perché si rischia la svalutazione
07/11/2014 di Redazione
Incassare dall’Inps, a causa di un coefficiente di rivalutazione dei contributi diventato negativo, una pensione più leggera di quella ricevuta nei mesi precedenti. È la beffa della quale presto potrebbero rimanere vittima milioni di pensionati italiani ed alla quale il governo, in particolare i ministeri dell’Economia e del Lavoro, stanno provando in tempi brevi a porre soluzione.
SVALUTAZIONE NOMINALE – Il caso riguarda il tasso annuo di capitalizzazione per la rivalutazione del montante contributivo individuale, legato alla variazione nominale del pil dei cinque anni precedenti e che quest’anno per la prima volta è finito sotto lo zero, scendendo a quota -0,1927%. Il meccanismo fu introdotto nel 1995 con la riforma Dini, con il passaggio, quindi, da un sistema prensionistico retributivo ad un sistema contributivo. Con l’obiettivo di rivalutare i contributi versti dai lavoratori nel corso degli anni il legislatore pensò di legare la rivalutazione della somma all’andamento della crescita economica. Nel dettaglio il comma 9 dell’articolo 1 della legge 335 del 1995 stabilisce che «il tasso annuo di capitalizzazione è dato dalla variazione della media quinquennale del prodotto interno lordo, (pil) nominale, appositamente calcolata dall’Istat, con riferimento al quinquennio precedente l’anno da rivalutare». Applicando questa norma, dunque, accade oggi, come mai era accaduto dal 1995 ad oggi, che si trasforma in realtà l’ipotesi di una svalutazione dei contributi e, di conseguenza, anche della pensione. Si tratta di un pericolo che avevamo sfiorato anche lo scorso anno, ed alla cui origine c’è soprattutto la caduta del pil al -5,5% del 2009. Il tasso di capitalizzazione, che si applica sui contributi versati al 31 dicembre dell’anno precedente, era già sceso nel 2013 allo 0,1643%, in netto calo rispetto al 3,3201% del 2009 e addirittura al 6,2054% del 1996. Ora accade, stando ai calcoli ripresi da Libero, che coloro che al 31 dicembre del 2013 hanno accantonato 150mila euro di contributi rischiano di scontare un taglio di 289 euro del montante. Chi ne aveva messi da parte 100mila, invece, potrebbe subire una perdita di 192 euro. Infine, chi ha versato contributi per 50mila euro, infine, potrebbe pagare una sforbiciata da 96 euro.
GOVERNO AL LAVORO – Ora toccherà al governo decidere se applicare o meno il tasso di capitalizzazione dei montanti contributivi correggendo l’aberrazione matematica non prevista dalla riforma Dini. A chiedere l’intervento dei dicasteri di Economia e Lavoro è stato proprio l’ente di previdenza nazionale. «L’Insp ci sottoporrà – dicono al ministero del Lavoro, lo riporta il Sole 24 Ore – un parere sull’applicazione del tasso annuo di capitalizzazione. C’è da capire se un coefficiente di rivalutazione può essere comparato con un pil negativo». La richiesta dell’Insp dovrebbe arrivare già oggi e la conseguenza dovrebbe essere il congelamento del tasso negativo. «A quanto mi risulta – è quanto dichiarato al Sole 24 Ore dal deputato Lello Di Gioia, presidente della commissione bicamerale di vigilanza degli enti previdenziali – ci si sta muovendo perché già in questa legge di Stabilità possa essere inserita la modifica alla modalità di calcolo del tasso annuo di capitalizzazione in modo che non possa diventare negativo».
SVALUTAZIONE REALE – Dunque, sembra il problema di un alleggerimento delle pensioni possa essere risolto. Anche se ci sarebbe da considerare, al di là del valore nominale dell’assegno, anche la svalutazione in termini reali in corso da più di qualche anno. Il Foi, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, è saldamente positivo e vanifica l’effetto della rivalutazione del montante contributivo. Ciò significa che, indipendentemente dal congelamento dell’ultimo tasso di capitalizzazione, il peso reale delle pensioni sta calando almeno dal 2011.
(Foto di Daniele Leone da archivio LaPresse)