Perché Poletti sulla «laurea con lode a 28 anni che non serve a nulla» ha ragione
26/11/2015 di Stefania Carboni
Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha strigliato i giovani spingendoli di più a lavorare piuttosto che a laurearsi in ritardo ma con voti eccellenti. «Prendere 110 e lode a 28 anni non serve a un fico, è meglio prendere 97 a 21», ha ribadito durante l’apertura a Veronafiere di «Job&Orienta», convegno sull’orientamento e il lavoro.
Poletti: “Una laurea con 110 e lode a 28 anni non serve a un fico. Meglio prendere 97 a 21 anni”. Siete d’accordo?
— Federica Seneghini (@fedesene) 26 Novembre 2015
«I nostri giovani – ha precisato il ministro – arrivano al mercato del lavoro in gravissimo ritardo. Quasi tutti quelli che incontro mi dicono che si trovano a competere con ragazzi di altre nazioni che hanno sei anni meno di loro e fare la gara con chi ha sei anni di tempo in più diventa durissimo». «Se si gira in tondo per prendere mezzo voto in più – ha continuato – si butta via del tempo che vale molto, molto di più di quel mezzo voto. Noi in Italia abbiamo in testa il voto, ma non serve a niente». L’opinione del ministro ha riscosso una marea di critiche sui social. Non solo perché non è laureato ma perché in molti non condividono il suo pensiero sulle eccellenti carriere universitarie. Ma quello che ha detto Poletti non è errato.
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POLETTI, LA LAUREA CON LODE E I TASSI PIU’ BASSI NELL’OCSE– In Italia, come negli altri paesi europei, i laureati hanno redditi di lavoro più alti rispetto a chi ha un livello d’istruzione inferiore. Però noi, a differenza dei colleghi Ocse, sfatiamo il mito del guadagno facile con una pergamena in mano. Anzi. Secondo il rapporto Ocse “Education at a glance” nel 2014, in Italia, solo il 17% degli adulti (fascia compresa tra 25-64enni) era titolare di una laurea. Si tratta di dati simili a paesi come Brasile, Messico e Turchia. In Italia abbiamo una minore discrepanza di salario tra un diplomato e un laureato: 143% rispetto alla media OCSE del 160%.
Non solo. Leggendo il rapporto Italia e Repubblica Ceca sono tra i paesi con il tasso di occupazione più basso nei laureati rispetto ai diplomati. Nonostante ciò abbiamo tanti laureati magistrali: 20% contro una media Ocse del 17%.
Il nostro Paese ha il più basso tasso d’occupazione. Nel 2014 solo il 62% dei nostri ragazzi tra i 25 e i 34 anni aveva concluso il percorso universitario e trovato impiego.
POLETTI, I LAUREATI E LA PERCENTUALE NEET ALTISSIMA – Circa il 35% dei 20-24enni nel 2014 non ha trovato un lavoro, né studiato, né seguito un corso di formazione (i cosiddetti NEET: neither in employment, nor in education or training). Noi italiani abbiamo la seconda percentuale NEET più alta dei Paesi OCSE. Un aspetto però va sottolineato: la laurea rappresenta comunque un forte investimento contro la disoccupazione. Specialmente nei periodi più neri. Almalaurea ha registrato come i più colpiti dalla crisi (tra il 2007 e 2014) siano stati i neodiplomati piuttosto che i neolaureati (8,2 punti contro 16,9 punti percentuali). Sei laureati su dieci trovano impiego oggi in Italia. Il problema più grosso sta tutto nella mancata coincidenza fra il titolo di studio e le competenze richieste nel mondo del lavoro. Perché? Perché i titoli di studio “non coincidono con l’acquisizione di competenze solide, sollevando interrogativi circa la qualità dell’apprendimento”. E’ una tradizione tutta italiana ritenere che perfezionandosi di più (senza vedere attorno quello che succede) sia ancora la strada migliore. Nel 2007 secondo quanto riporta un report Istat, al momento del conseguimento del titolo di studio, il 30,2% dei laureati nei corsi lunghi e oltre il 37% dei laureati triennali lavorava. La percentuale dei secondi è però più ampia. Poletti forse intendeva dire questo. Meglio affrontare il prima possibile i classici “Ti faremo sapere” piuttosto che perfezionarsi da fuori corso: anche perché sono le competenze “sperimentate” quelle che contano.
(foto ANSA/ ANGELO CARCONI)