Punkreas, 25 anni dopo. “Un nuovo tour, un nuovo live e la stessa voglia di cambiare il mondo”
20/02/2015 di Alessio Barbati
I Punkreas tornano in tour. Per festeggiare i 25 anni di carriera lo storico gruppo icona del punk nostrano riparte dalle origini, proponendo sui palchi di tutta Italia il “Paranoia Domestica Tour”, richiesto a gran voce dai fan ancora entusiasti per i concerti di cinque anni fa, in occasione del ventennale. Un tour per festeggiare e celebrare una delle band che con passione e devozione ha fatto la storia della musica italiana. «Abbiamo deciso di ripartire proprio da lì: dal live, dalla nostra storia e con il nostro pubblico», afferma la band, da sempre molto legata ai propri fan. Ad accompagnare il “Paranoia Domestica Tour”, iniziato il 17 gennaio al Leoncavallo di Milano, la ristampa dei primi quattro lavori della band, acquistabili sia separatamente che in un cofanetto a prezzo speciale. All’interno delle prime 250 copie del bundle i fan troveranno dei coupon validi come ingresso gratuito ad una delle date del tour e come sconto sul pre-ordine del vinile di “Paranoia e Potere”, previsto per marzo 2015. Ma cosa c’è di nuovo rispetto ai concerti di 5 anni fa? E rispetto a quelli di 25 anni fa? Lo abbiamo chiesto a Noyse, storico chitarrista della band.
«Non ci sono troppe differenze, il live è la dimensione che negli anni è rimasta più simile agli esordi. I nostri non sono concerti standard in cui gli artisti stanno sul palco e il pubblico è lontano, si fa tutto quanto insieme. Lavorando al nuovo disco ci siamo accorti di come i concerti siano un viatico per reimmergerci nelle nostre radici, e questo ci piace, ci fa bene e ci diverte molto».
Quindi vi state facendo caricare dal pubblico per preparare il nuovo disco?
Come è cambiata la platea in questi anni?
La cosa più bella e significativa è che dopo 25 anni ai nostri concerti vediamo qualche fan degli esordi con il figlio. È bello vedere come si dispongono davanti al palco: davanti ci sono i giovanissimi che pogano e si scatenano, poco più indietro gli intermedi, che ogni tanto avanzano, e dietro ci sono i nostri coetanei, che bevono una birra, si rilassano e si godono il concerto. Ti ripeto, quella del live è la dimensione che è cambiata di meno, ogni concerto è una festa in cui tutti partecipano, non uno spettacolo in cui noi suoniamo e gli altri guardano.
Come vi spostate in tour da una città all’altra?
Ci muoviamo in sette in un furgone. Ci piace molto perché in questo modo possiamo raggiungere luoghi in cui altrimenti non riusciremmo ad arrivare. Carichiamo gli strumenti e partiamo, alla vecchia maniera.
Come occupate i tempi morti durante il viaggio?
Posso dirti con certezza che non stiamo al cellulare, quello che ci fa passare il tempo e che ci tiene in pista è la marea di cazzate che ci vengono abbastanza naturali e spontanee (ride). Ci sono degli elementi di cui Paletta (il bassista ndr) è il principe e fa in modo che i nostri viaggi siano parte integrante del concerto. I nostri live cominciano quando carichiamo gli strumenti sul furgone e finiscono quando li scarichiamo, una volta a casa. Fa tutto parte della stessa cosa. Partenza arrivo e soste in autogrill sono un tutt’uno.
A proposito di strumenti, che pedali utilizzerai in tour?
Per questo tour veramente poco perchè i primi pezzi erano scritti e pensati per essere suonati con chitarra e amplificatore. Ad oggi l’unico effetto che utilizzo è un phaser Mxr e un Delay Line6 che mi permette di avere tre memorie per muovermi agevolmente tra assoli e arrangiamenti vari.
Gran parte dei pezzi che avete scritto, dopo 25 anni mantengono la freschezza e l’attualità di un tempo, penso a “Sfratto” o “Disgusto Totale”, ve lo aspettavate?
In effetti no. Se da una parte ci ha sorpreso e può essere un vanto, dall’altra è una nota un po’ triste.
A questo punto si può dire: ci sarà un nuovo disco. Quali saranno i temi che tratterete?
È ancora presto per parlarne, ma la scrittura sarà quella che ci ha sempre contraddistinto, molto attenta al sociale e a quello che ci circonda. Non saremmo in grado di fare qualcosa di diverso. I temi sono gli stessi dei precedenti album, ma ce ne saranno di nuovi.
Tipo?
Nei vostri testi si nota subito la differenza con il punk della subcultura inglese dei primi anni 80, c’è contestazione, ma c’è sopratutto un messaggio di speranza, è così?
Esatto, è una differenza che io sento molto forte, ma siamo comunque eredi dei primi movimenti punk italiani, e la differenza è proprio che il punk inglese è assolutamente nichilista, il famoso “no future” dei sex-pistols, non esiste futuro. Noi crediamo che il futuro esista, ma quello che hanno costruito per noi non ci rappresenta, ne vogliamo un altro, desideriamo l’orizzonte di una speranza a cui attaccarsi per riuscire ad andare avanti. Quello che nei movimenti NoGlobal è rappresentato con lo slogan “Un altro mondo è possibile”, ecco, noi vogliamo credere in questo. Ogni tanto c’è un po’ di scoramento, ma poi quando vedi cosa sta succedendo in posti come Kobane e nella regione del Rojava, con la carta di autodeterminazione, torna la forza. Hanno messo in pratica un modello alternativo di sviluppo sostenibile con la donna al centro della società civile. Parlano di redistribuzione della ricchezza e se lo fanno loro dobbiamo farlo anche noi, perché non c’è nessuno che ce lo impedisce.
Credi che il punk rappresenti ancora la rivolta socioculturale o è stata soppiantata da altri generi, come il rap? Mi viene in mente anche la vostra collaborazione con Fedez
Non lo so, il rap lo conosciamo veramente poco per parlarne, l’impressione che ho, a distanza, è che in realtà si tratti di qualcosa di molto diverso rispetto a quello che era la nostra attitudine. Specialmente quello italiano, dove tutti giocano un po’ a fare i gangster da strada senza esserci mai stati (ride). Anche la collaborazione con Fedez è nata in una maniera un po’ strana, noi non lo conoscevamo assolutamente, avevamo un manager in comune e lui ha visto un nostro poster e si è dichiarato nostro fan, così ci ha chiesto di incontrarlo per una collaborazione. Le sue canzoni non ci convincevano granché, quindi abbiamo deciso che se ci fosse venuta un’idea che convinceva entrambi l’avremmo realizzata. Abbiamo pensato a come la donna veniva rappresentata nel mondo del rap, iconizzata in una maniera che ci piace poco e abbiamo pensato che potesse essere interessante rivolgersi ad un pubblico diverso. Alla fine abbiamo scritto una canzone che si chiama Santa Madonna, ci è piaciuta e l’abbiamo fatta.
25 aprile 1945 – 25 aprile 2015. Quest’anno ricorrono i 70 anni dalla liberazione d’Italia. Avete in mente qualcosa di particolare per quella data?
Non lo so, stiamo ancora tentando di capire cosa faremo, dove saremo e dove andremo, metteremo a punto in seguito.
Credi che oggi il termine “partigiano” abbia ancora senso?
Accidenti! Assolutamente si. Partigiano vuol dire resistere e credere di poter fare qualcosa di diverso, per cui ha assolutamente senso. Per quanto mi riguarda partigiano vuol dire continuare a credere in qualcosa di diverso e di migliore.
Tornando a noi… “Isterico” e “Paranoia e Potere” sono state pietre miliari della scena indipendente italiana. Non eravate soli in quegli anni. Oggi cosa ne è rimasto?
Piu che altro sono rimasti gli stessi che c’erano allora, c’è stato poco ricambio generazionale, io credo che sia dovuto proprio al motivo per cui siamo nati noi in contrasto ai motivi per cui sono nate band successive. Ci sentiamo molto eredi della prima ondata punk, (Wretched, e CCCP), anche dal punto di vista della scrittura dei testi, per cui c’è un radicamento molto forte tra quello che siamo e quello che facciamo. Verso la metà degli anni 90 poi c’è stata l’esplosione del punk californiano (Offspring e Rancid ad esempio) che se da un lato ci ha permesso di allargare il nostro raggio d’azione, dall’altro ha accelerato la nascita di molte band che seguivano più la moda che le loro convinzioni, così alle prime difficoltà si sono sciolti come neve al sole. Noi abbiamo cominciato quando tutti facevano metal e non eravamo ben visti. Lo facevamo perché il punk ci permetteva veramente di esprimerci come volevamo. Anche del reggae oggi rimangono solo gli Africa Unite. C’è stato poco ricambio.
Toglimi una curiosità, ti si vede spesso con la maglietta con la foglia di canapa e la scritta “Vegetarian”, sei vegetariano sul serio?
(Ride) Ci sono molto affezionato, quella maglietta mi ha permesso di stringere la mano a Kirk Hammett dei Metallica. Quando abbiamo suonato con loro erano assolutamente inavvicinabili, una macchina a testa, sette bodyguard, cose così. Lo ho incrociato in un corridoio e mi sono immediatamente appiattito sul muro, ma lui è venuto verso di me e stringendomi la mano mi ha detto «you are a vegetarian too?». In un primo momento non ho afferrato, poi mi sono guardato la maglietta e ho ricollegato.
“Il vicino” è ancora vivo?
Si (ride) alla fine ci siamo spostati noi. Abbiamo una sala prove senza vicini. Quelli erano i tempi in cui suonavamo nel garage di Paletta e il vicino abitava lì di fronte, però a prescindere da lui a furia di suonare il garage si era crepato tutto e stava venendo giù, così siamo stati costretti a spostarci altrove, con buona pace del dirimpettaio e di Paletta, che cominciava ad essere preoccupato.
IL “PARANOIA DOMESTICA TOUR”:
17-01 – LEONCAVALLO, Milano
22-01 – INDUSTRIE, Catania
24-01 – RIVOLTA, Marghera (VE)
30-01 – DEMODE’, Modugno (BA)
31-01 – DOPOLAVORO, Brindisi
06-02 – KAIROS CLUB, Angri (SA)
07-02 – ZOOM MUSIC CLUB, Marcellinara (CZ)
27-02 – EXSNIA, Roma
28-02 – URBAN, Perugia
07-03 – VIDIA, Cesena
14-03 – ZAPATA, Genova
20-03 – PHENOMENON, Fontaneto d’Agogna (NO)
21-03 – MAGAZZINO 47, Brescia
28-03 – ESTRAGON, Bologna