Quando si incontra qualcuno che si conosce bisogna salutarlo bene
28/07/2014 di Clementina Coppini
La madre di T. è morta per un banale incidente, una cosa che potrebbe accadere a chiunque. La mamma di T. (T. ha solo 14 anni ed era in classe con mio figlio) era una donna giovanissima. L’ho incontrata in centro due giorni prima che morisse. L’ho salutata male, ero al cellulare. C’era stata la festa della classe per la fine della scuola media qualche settimana prima, lei aveva portato due grandi teglie di lasagne buonissime. L’ho salutata in modo distratto e invece era l’ultima volta che la vedevo. Era anche una delle ultime volte in cui sua figlia l’avrebbe vista. Nella realtà, intendo, perché poi la propria madre la si vede molto più spesso di quanto si immagini.
ULTIMO BACIO – Mi ricordo l’ultima volta che ho visto mia madre viva, tantissimi anni fa. Sento ancora oggi un dispiacere per aver vissuto l’ultimo pranzo con mia madre come un pranzo qualunque e di averla salutata mentre andava al lavoro nel modo che utilizzavo spesso, dando un urlo dalla mia stanza senza nemmeno andare alla porta. Lei quella notte stessa sarebbe morta di ictus fulminante anche se l’avessi salutata bene, ma a me dispiace ancora adesso, dopo decenni, di non essere andata alla porta e di non averle dato un bacio d’addio, anche se non potevo sapere che quello era un addio. L’altro giorno, siccome avevo fretta di fare le mie stupide commissioni, ho detto un distratto ciao alla mamma di T. e non mi sono ricordata che quando si incontra qualcuno che si conosce bisogna salutarlo bene, ogni volta come se fosse l’ultima volta che lo si vede. Spero che T. abbia dato un bacio d’addio alla sua mamma. Per quanto doloroso sia, meglio avere un ultimo bacio da ricordare.
PAESE D’ORIGINE – T. non ha un padre e ora, oltre ad aver perso la mamma, non ha nemmeno una patria, perché sta tornando nel paese d’origine della madre, che non è il suo paese d’origine, perché il paese d’origine di T. è l’Italia. È partita, ma non sta accompagnando a casa la sua mamma, perché la casa della sua mamma, e la sua, sono qui. La mamma di T. aveva un compagno italiano che vuole bene a T. e le lasagne quella sera le aveva preparate lui. Chissà se potrà continuare a crescere quella che per lui è una figlia. La speranza è che T. a settembre torni qui e possa frequentare il liceo artistico, la scuola alla quale la madre l’aveva iscritta pochi giorni prima di morire. Bisogna sperare che sia possibile, perché per la legge T., che è nata a cresciuta in Italia, non è italiana e quello che per lei è un padre non è suo padre. E questo non avrebbe alcuna logica, se non fosse invece la logica che noi seguiamo, se non fosse ciò che nella nostra patria viene considerato legittimo.
AVANZI – Cosa c’è di logico e legittimo nel non considerare italiani dei ragazzi nati e cresciuti in Italia? Cosa porta via agli italiani una ragazzina di 14 anni orfana di una madre che lavorava come badante? Non so cosa portasse via agli altri la mamma di T., che amava sua figlia e che era una brava persona. So invece cosa ha lasciato a me per il poco che l’ho conosciuta. Quella famosa sera della festicciola della III A, siccome tutti avevamo preparato una montagna di cibarie per il buffet, era avanzato un sacco di cibo. Un po’ lo avevamo diviso e il resto – le cose che impossiscono e non sono più perfette il giorno dopo – non sapevamo che farcene, così lo stavamo buttando nella spazzatura. La mamma di T. ci aveva fermato ricordandoci che è un peccato buttare il cibo e che forse era meglio portarlo agli homeless della nostra città. Ci eravamo sentiti tutti degli stupidi di fronte a questa donna che si ricordava dei precetti delle nonne vissute in tempo di guerra, che anche in un momento di festa non si era dimenticata che c’è gente che non festeggia mai. La mamma di T. ci aveva fatto vergognare della nostra superficialità, noi intenti a scegliere gli avanzi più carini per noi e a buttare via il resto.
LA TORTA DI FRUTTA – No, la mamma di T. non era venuta in Italia a portare via niente, proprio niente. Anzi, aveva portato lei di persona gli avanzi ai poveri. Avevo visto io stessa il giorno dopo i poveracci tutti contenti mangiare le nostre pizzette e l’insalata di riso (so bene dove stanno, ma non mi ero offerta di portare loro un bel tubo, perché non ne avevo voglia). Quella sera, siccome era il compleanno di T., lei e il suo compagno avevano portato una torta di frutta. Tutti i ragazzi, un po’ tristi come si è quando finisce un ciclo della propria vita e si va verso l’ignoto, si erano stretti intorno a quella torta e, loro giovani con noi vecchi, avevamo tutti brindato al futuro. Credo che la mamma di T. credesse nel futuro, altrimenti non avrebbe fatto un viaggio fin qui e non avrebbe lavorato così tanto. La mamma di T. non c’è più ma il futuro c’è ancora, per T. e per gli altri. Tra quei 23 ragazzi non c’era nessuno davvero straniero, non c’era nessuno davvero diverso dagli altri. C’erano solo 23 ragazzi con gli occhi lucidi e pieni di speranza. Questi ragazzi sono il futuro della nostra patria, sono i frutti migliori della nostra nazione. Tutti loro, tutti insieme. La torta della mamma di T., con tanti frutti di diverse forme e svariati colori ma tutti belli e freschi, voleva dire anche questo.