Quanto costa uscire dall’euro
07/04/2014 di Alessandro D'Amato
Tito Boeri su Repubblica oggi affronta l’argomento “uscire dall’euro” in un articolo che probabilmente creerà molte polemiche. L’economista racconta il rischio della maggioranza di euroscettici a Strasburgo dopo le elezioni europee, e segnala anche quali sono, a suo parere, gli argomenti più sconclusionati del fronte. A partire dalle tasse:
Uno dei volantini del Movimento per l’Uscita dell’Italia dall’Euro, stranamente con sede a Londra e animato da persone che presumibilmente hanno redditi, se non patrimoni, all’estero, attribuisce all’euro qualsiasi aumento delle tasse della storia repubblicana. Si risale addirittura alle manovre di Rino Formica del 1990. E naturalmente, appena usciti dall’incubo euro, queste tasse evaporerebbero come d’incanto. Con una pressione fiscale al 60 per cento (per chi le tasse le paga davvero), l’idea è alquanto suggestiva. Ed è un vero peccato doverla smontare.
Boeri la smonta così:
Se l’Italia dovesse uscire dall’Euro, il nostro debito pubblico potrebbe solo aumentare. C’è una quota di titoli di Stato e di prestiti contratti dallo Stato italiano sui mercati internazionali, che aumenterebbe in proporzione alla svalutazione della lira nei confronti dell’euro e delle monete in cui i nostri titoli sono denominati. La parte restante potrebbe essere ridenominata in lire causando perdite ingenti agli investitori stranieri che hanno nostri titoli in portafoglio. Sarebbe come un ripudio unilaterale del debito, cui seguirebbe inevitabilmente un lungo periodo di chiusura del nostro paese ai mercati internazionali. Questo significa di fatto uno spread che tende all’infinito, un destino paradossale dopo che siamo riusciti a riportare i tassi di interesse sui nostri titoli decennali al minimo storico. E come pagare questi interessi più alti se non con nuove tasse?
Poi Boeri parla della proposta di non pagare il debito pubblico: «Qui si avrebbe una tassa che può arrivare fino all’80 per cento dei risparmi di una famiglia italiana, in genere appartenente al ceto medio (i ricchi hanno patrimoni maggiormente diversificati)». Infine, l’economista parla del recupero della possibilità di spendere in economia. Segnalandone però anche il lato negativo:
Davvero credono che politici lasciati liberi di spendere e spandere si occuperebbero del bene comune e non tornerebbero ad accordarsi lauti compensi? Perché deresponsabilizzare la nostra classe dirigente, perché perdonare i monocolori e i pentapartito sotto i quali il debito pubblico è esploso o i 10 anni di politica economica di Berlusconi che hanno utilizzato la minor spesa per interessi per aumentare altra spesa corrente? È la stessa accondiscendenza che mostra la lista Tsipras, candidato da intellettuali italiani in quanto “greco” perché «rappresenta il Paese che soffre di più per le politiche di austerity». Peccato che la crisi del debito nell’area Euro che ha portato miseria a milioni di europei sia scoppiata perché nel 2009 il deficit pubblico greco si è rivelato essere del 15,6% contro il 3% previsto dai trattati firmati dal governo greco, con politici e banchieri centrali ellenici che avevano truccato i conti.