Rai, il ricorso dei consiglieri pensionati. Mazzucca e Diaconale vogliono lo stipendio

15/01/2016 di Redazione

Erano stati eletti nel nuovo Cda della Rai nonostante fossero già in “pensione“. Un mezzo pasticcio, perché in base alle normative, l’incarico dei neoconsiglieri Arturo Diaconale e Giancarlo Mazzucca (in quota Fi) rischiava di essere incompatibile. A meno che fosse svolto in modo gratuito, come prevedeva la “riforma Madia”. Gli uffici legali di Viale Mazzini avevano cercato di risolvere il caso, poi, era stato il Ministero dell’Economia a confermare il 5 novembre scorso come non avessero diritto a un compenso. Ora però, come ha spiegato il quotidiano “La Repubblica” in un articolo di Aldo Fontanarosa, i due consiglieri hanno fatto ricorso al Tar del Lazio, sentendosi “discriminati” dalla decisione. 

PASTICCIO CDA RAI, ORA MAZZUCCA E DIACONALE VOGLIONO LO STIPENDIO. RICORSO AL TAR DEL LAZIO

Il ministero aveva precisato come fosse la gratuità il requisito essenziale per permettere ai due consiglieri di restare all’interno del Cda. Spiega Fontanarosa:

Il ministero ha confermato al presidente Maggioni che i consiglieri della tv di Stato, se pensionati, rientravano nel perimetro di azione della legge 114 del 2014. Dunque potevano sedere nel Cda, certo, e per tutti e tre anni del mandato; ma solo a titolo gratuito. Come qualsiasi altra persona che riceve un incarico “dirigenziale o direttivo” nella Pubblica Amministrazione quando è già in pensione. Ma l’avvocato Federico Tedeschini – che assiste Diaconale e Mazzuca – batte proprio su questo tasto. Nel suo ricorso, sostiene che la Rai non è parte della Pubblica Amministrazione. Come la giurisprudenza anche costituzionale afferma, l’emittente fa capo a una società per azioni che risponde a regole e logiche privatistiche. Dunque tutti i suoi consiglieri devono essere compensati in modo uguale, inclusi i pensionati. La stessa fonte di nomina (che è la Commissione parlamentare di Vigilanza) metterebbe i consiglieri fuori dai confini della Pubblica Amministrazione. Peraltro il loro lavoro – altra argomentazione del ricorso – sarebbe di tipo gestionale mentre la gratuità riguarda soltanto i ruoli “dirigenziali e direttivi”.

 

Ma non solo. Secondo il ragionamento del legale di Mazzucca e Diaconale, i due avrebbero accettato l’incarico nella convinzione di ricevere uno stipendio (66 mila euro lordi all’anno). Al contrario, invece, le loro aspettative sono state smentite dai fatti:

«Niente impedisce a Diaconale e Mazzuca di dimettersi – può obiettare qualcuno – se arrabbiati per la gratuità del lavoro. Ma le dimissioni, sostiene il ricorso, priverebbero il Cda di figure esperte che rappresentano una risorsa per l’azienda. La stessa televisione di Stato, nel suo Codice di autodisciplina, si impegna a garantire sempre un compenso proporzionato per legare a sé professionisti collaudati. L’avvocato Tedeschini chiede dunque che siano sospesi tutti gli atti ministeriali che costringono Diaconale e Mazzuca a lavorare senza compenso; e che sia dichiarata “nel merito” la illegittimità della linea del ministero. Ministero che – ultima bordata del ricorso – ha preso le sue decisioni sulle retribuzioni senza mai ascoltare i due consiglieri della Rai, come invece avrebbe imposto una procedura amministrativa corretta», si legge sul quotidiano.

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