Razzismo: la lezione de La Stampa che tutti dovremmo imparare. Noi giornalisti per primi
10/08/2015 di Stefania Carboni
Ieri La Stampa ha raccontato la storia di Nicole, una ragazza inglese di 12 anni che ha superato Einstein raggiungendo al calcolo del quoziente intellettivo ben 162 punti. La ragazza appartiene a una comunità rom. La notizia, pubblicata sui social dal quotidiano, ha ricevuto subito insulti razzisti e commenti vergognosi. Il team social de La Stampa ha reagito con forza eliminando gli insulti e bannando i lettori che dimenticano la netiquette. «Gentili lettori – replica il SMM della testata – a pochi minuti dalla pubblicazione di questa notizia, sono arrivati immancabili i primi commenti razzisti. Come abbiamo già detto in passato, non abbiamo nessuna intenzione di tollerare commenti del genere sulla nostra pagina: chi nonostante gli avvertimenti insiste, sarà bannato. Vi chiediamo di isolare chi esprime questo tipo di “opinioni”, non rispondere e se ritenete segnalarli a noi in posta privata».
Isolare i razzisti, evitare di rispondere, non fomentare ulteriormente polemiche sterili. Perché la notizia (bella) è che una ragazzina di 12 anni ha superato il Qi di Einstein. Solo quella. Ma in Italia spesso ci si scorda del fatto, che troppo frequentemente viene cannibalizzato da opinioni, peraltro quasi sempre prive di fondamento.
La Stampa, attraverso la sua reazione, segue l’invito della giornalista televisiva tedesca Anja Reschke, che qualche giorno fa invitava tutti a ribellarsi. «Chi sparge odio deve capire che questo Paese non lo tollera», spiegava, invitando tutti a formare una «coalizione degli onesti» nel suo video editoriale che ha fatto il giro del mondo.
Onestà dell’informazione, veridicità delle fonti e rispetto per la religione, razza, orientamento politico e sessuale delle persone coinvolte. Lo prevede la Carta di Roma, lo richiede la deontologia professionale. Non è questione di libertà di pensiero ma di coscienza professionale. Un tempo c’era chi pensava che il giornalismo fosse un servizio pubblico per cui, come per il servizio idrico, sarebbe stato folle mandare «l’acqua inquinata» nelle case degli italiani. Il problema si pone quando si smette di esser giornalisti e si fa da grancassa ai politici e populismi di cui è ghiotto il nostro paese: di destra o sinistra che siano. Si inizia così e si finisce nel fare da arbitri in uno scontro virtuale da bar che regala solo sfoghi infimi, inutili. Si parla alla pancia della gente per un click. Ci si scorda di fare “debunking” sulla frottola del momento. Sono tanti i piccoli atteggiamenti che portano il microfono in mano ai signor nessuno. Sono tanti i signor nessuno che, sentendosi grandi, pensano sia giusto lasciar affogare esseri umani a largo delle coste libiche. Sono molte le persone che ritengono che, davanti ai 100 likes del loro commento su Facebook, possono andare la notte e tirare una molotov contro il centro di accoglienza della propria città. O applaudire chi lo fa. E non sanno che in realtà le “notizie” a cui credono sono oggettivamente false e drogate dal pregiudizio.
Si può criticare il sistema di accoglienza, una strategia governativa, in modo autorevole e non degradante. Si può: ma non lo facciamo. Preferiamo scegliere la strada della “camera a gas”, “rogo per tutti”, “fuori a calci in c****”. La strada semplice. Quella che non impegna troppo il nostro cervello, già occupato in altre faccende tutt’altro che semplici. Il metodo più ovvio, più popolare. Sbagliamo noi a non “educarvi” all’informazione e sbagliate voi a spegnere la mente e a non andare oltre agli slogan e il flusso di informazioni che ricevete ogni giorno. Così pian piano diamo il microfono ai signor Nessuno, poi un comune, infine un Paese. Dimenticandoci i nostri doveri e i nostri diritti: quelli di esser umani e insegnarvi a rimanere tali. Sempre. Anche tramite una notizia.
(Credits copertina Vignette che fanno più ridere di quella di Giannelli sui profughi)