Riccardo Rasman: l’inchiesta sul giovane ucciso dalla polizia a casa sua
23/10/2014 di Valentina Spotti
Mauro Casciari de Le Iene si è occupato del caso di Riccardo Rasman, giovane triestino con problemi psichici che nell’ottobre del 2006 è morto per mano di alcuni poliziotti che avevano fatto irruzione nel suo appartamento in seguito a una segnalazione al 113 fatta da una vicina. Un caso non troppo diverso da quelli di Federico Aldrovandi e Giuseppe Uva, con la differenza che Rasman soffriva di problemi mentali che erano stati resi noti alle forze dell’ordine al momento dell’intervento, e che il pestaggio e la morte del giovane è avvenuta in casa sua.
RICCARDO RASMAN: COSA È SUCCESSO QUELLA NOTTE – Casciari ripercorre i fatti di quella sera del 27 ottobre 2006: Riccardo Rasman rientra a casa, accende lo stereo e, per qualche ragione, butta qualche petardo dal balcone del palazzo dove abita. Spaventata dal rumore dei botti, una vicina chiama la polizia, che interviene. Ma, una volta arrivati alla sua porta, Rasman si barrica in casa rifiutandosi di farlo entrare. In realtà, come spiegano sia la madre di Riccardo che l’avvocato della famiglia Rasman, Riccardo soffre di schizofrenia paranoide, un grave problema psichico che, nel suo caso, si manifesta con un’intensa fobia delle divise. Questa paura incontrollata sarebbe nata in seguito a vere e proprie violenze e atti di nonnismo subite dal giovane durante il servizio militare, che avrebbero minato per sempre il suo equilibrio mentale. Per questo motivo, Riccardo era in cura presso il Domio, un centro di igiene mentale di Trieste che assisteva il giovane. Quella sera, quindi, Rasman si barrica in casa. I poliziotti chiamano rinforzi e chiedono informazioni sul giovane: dalla centrale rispondono che l’uomo è in cura presso il Domio, ma chiedono qualche minuto per contattare il centro e farsi spiegare esattamente la situazione di Riccardo. Ma non ce ne sarà il tempo: pochi minuti dopo la polizia sfonda la porta e inizia una violenta colluttazione con Riccardo, che termina con lui sdraiato faccia a terra sul pavimento, con le braccia legate dietro la schiena e «sei o sette poliziotti» – come dirà il verbale – che gli stavano sopra per immobilizzarlo. Schiacciato in quella posizione, Riccardo smette di respirare. La polizia chiama di nuovo la centrale, chiedendo l’arrivo di un’ambulanza: «È in arresto cardiocircolatorio, penso sia andato» – dice l’agente parlando con la collega della centrale. Quando arriva il 118, Riccardo è già morto. Nel frattempo arriva anche la conferma da parte del centro Domio, che spiega i problemi mentali del giovane. (Qui il servizio completo de Le Iene)
RICCARDO RASMAN: PERCHÉ GLI AGENTI NON HANNO ASPETTATO? – Nell’inchiesta che ne è seguita sono stati presi in considerazioni diversi particolari: come ad esempio il fatto che gli agenti avrebbero fatto irruzione per scongiurare il rischio che Rasman potesse aprire il gas mettendo in pericolo tutto il palazzo o compiere atti di autolesionismo. Ma, come raccontano diversi testimoni, non solo all’arrivo della polizia Riccardo aveva smesso di lanciare petardi ed era tranquillo: una volta immobilizzato il giovane avrebbe ripetuto agli agenti di lasciarlo urlando «Mi sono calmato». Il fatto più grave, tuttavia, resta che gli agenti – pur sapendo che il giovane aveva disturbi mentali – abbiano agito senza aspettare né la risposta del centro Domio né l’arrivo dell’ambulanza, la quale avrebbe messo in atto un protocollo adeguato per il contenimento di persone con questo tipo di problemi. Sul corpo di Riccardo sono stato trovati lividi, ecchimosi, tagli ai polsi provocati dalle manette, e una grossa ferita al capo da cui ha perso molto sangue, schizzato perfino sulle pareti della stanza.
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RICCARDO RASMAN: «COME UN INCIDENTE STRADALE» – Il processo, celebratosi con rito abbreviato, ha visto la condanna di tre poliziotti a sei mesi di reclusione per omicidio colposo: pena che, comunque, nessuno dei tre ha mai scontato. A favore della famiglia di Riccardo Rasman è stato disposto un risarcimento di soli 60.000 euro: giustificato dal fatto che il danno da perdita del congiunto non è diverso da quello che sarebbe avvenuto se, per distrazione, uno dei poliziotti non avesse investito per sbaglio una persona che attraversava le strisce pedonali. Questa è la spiegazione che fornisce l’avvocato di Stato Marco Meloni: «Se c’è un omicidio colposo che deriva da una distrazione non è un massacro».
(Photocredit copertina: Mediaset/Le Iene)