Operazione “Araba fenice”: i rifiuti pericolosi di Ilva e Enel finivano nel cemento di Caltagirone
29/09/2017 di Redazione
Ieri in Puglia è scattata l’operazione “Araba fenice”, della guardia di finanza di Taranto e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia (Dda) di Lecce. Dalle carte degli inquirenti emerge una «triangolazione illecita», che ha coinvolto «tre compagini societarie di primo piano nel panorama industriale ed economico nazionale» come Enel Produzione spa, Ilva spa e Cementir Italia, all’epoca di Caltagirone.
La triangolazione smascherata dall’operazione “Araba fenice” consisteva in questo: Cementir acquistava a prezzi irrisori la loppa – cioè lo scarto della produzione dell’acciaio – dell’Ilva di Taranto e le ceneri della centrale Enel di Brindisi, per produrre cemento, che è poi finito nell’edilizia civile e industriale. Un materiale che in alcuni casi è meno resistente del normale. Nonostante le ceneri provenienti dalla combustione siano classificate come rifiuti pericolosi (contengono metalli come vanadio, mercurio e nichel e ammoniaca) per il momento «non ci sono problemi per la salute pubblica», ha fatto sapere il procuratore de Castris. Escluderlo però sarà compito di Arpa e ministero della Salute, dopo le dovute indagini.
I DETTAGLI DELL’OPERAZIONE ARABA FENICE E LE INTERCETTAZIONI PUBBLICATE DAL FATTO QUOTIDIANO
Resta il fatto che la loppa dell’Ilva e le ceneri dell’Enel non potevano assolutamente essere utilizzati per produrre cemento e – secondo la procura – Cementir era assolutamente consapevole di cosa contenessero quei materiali al momento dell’acquisto. Se non altro per il prezzo a cui li comprava, decisamente basso. Con vantaggi evidenti anche per chi li rivedeva: secondo gli inquirenti, Enel – risparmiando sui costi relativi alla separazione delle ceneri e al corretto smaltimento dei rifiuti – avrebbe guadagnato attraverso questo sistema portato alla luce dall’operazione “Araba fenice” oltre 523 milioni dal 2011 a oggi. Un dettaglio riferito oggi dal Fatto Quotidiano, che riporta anche stralci di un’intercettazione telefonica tra due dirigenti dell’azienda di energia, spaventati dalla preparazione dei finanzieri che stavano indagando sulla fine delle ceneri dell’Enel. «Questi qua sono cinque…sono nel loro nucleo di ambiente eh! Non è tributario che non fanno un cazzo che non capiscono un cazzo», dice un dirigente (rimasto anonimo) al collega. «Il problema vero è capire adesso che ne vogliono fare del pregresso», osserva dopo un po’ l’altro. E alla fine la premonizione: «Dice “ma hai contaminato tutte le ceneri. Mo aspetta hai contaminato tutte le ceneri” boh! Vediamo. Solo che già mi immagino i titoli sui giornali». Non avevano torto, il titolo sulla prima pagina del Fatto Quotidiano oggi è piuttosto eloquente: «Calatagirone,”cemento fatto con rifiuti tossici”».
OPERAZIONE “ARABA FENICE”: 31 PERSONE INDAGATE E SITI ENEL, ILVA E CEMENTIR SOTTO SEQUESTRO
L’operazione “Araba fenice” ha fatto finire nel registro degli indagati 31 persone, per traffico illecito di rifiuti e attività di gestione di rifiuti non autorizzata. A Ilva, Enel e Cementir vengono contestati anche illeciti amministrativi e da ieri la centrale Enel Federico II di Cerano a Tuturano, alle porte di Brindisi, la Cementir Italia spa di Taranto e i parchi loppa d’altoforno dell’Ilva, sempre a Taranto sono finiti sotto sequestro, con parziale facoltà d’uso. Il Fatto Quotidiano spiega che:
Le società avranno 60 giorni di tempo per mettersi in regola ed evitare il fermo degli impianti. Il giudice inoltre ha disposto il sequestro dei conti e delle quote societarie per Enel fino all’ammontare di 523 milioni di euro, considerato l’ingiusto profitto ottenuto in questi anni. Intanto dalle carte emerge che le violazioni di legge potrebbero aver intaccato anche la qualità del prodottto. Nel caso delle ceneri dell’Enel, infatti, i consulenti dell’accusa hanno rinvenuto “elevate concentrazioni di sostanze alcaline come l’azoto ammoniacale” che porterebbe conseguenze “sulla qualità e sulla composizione del prodotto finale”: in sostanza, per l’accusa, il calcestruzzo prodotto da quel cemento può essere decalcificato e gli effetti si tradurrebbero “con aumento di porosità e soprattutto con una perdita di resistenza meccanica”.
Le tre aziende, intanto si dicono pronte a dimostrare la regolarità del loro operato e fiduciose nell’azione dei giudici. Per i magistrati invece gli indagani delle tre aziende erano perfettamente consapevoli di ciò che facevano e in alcuni casi hanno persino tentato di ostacolare le indagini offrendo agli investigatori dati differenti da quelli reali.
Foto copertina: ANSA/ ANDREA GIANNETTI