Forza Italia balcanizzata, Brunetta è in bilico. Il partito di Silvio Berlusconi non esiste più
10/03/2015 di Alberto Sofia
Alla fine ha prevalso la “mozione degli affetti“. La lealtà al Cav, nel giorno “tormentato” del verdetto della Cassazione sul Ruby gate. L’unanimità nel voto contrario di Forza Italia sulle Riforme costituzionali (ad eccezione del “sì” di Gianfranco Rotondi) è però soltanto una finzione. Una messinscena orchestrata dai forzisti “ribelli” legati a Denis Verdini e pro-Nazareno, per evitare uno strappo formale con il Cav, che aveva imposto il “no” al gruppo azzurro sul Ddl Boschi.
La contrarietà rispetto alla strategia del leader è però chiara, testimoniata da 17 firme poste in calce al documento politico della fronda “nazarena” di Fi. Una lettera inviata in direzione Arcore, nella quale viene denunciato il «profondo disagio e dissenso» rispetto alla scelta dell’ex premier. «Abbiamo votato “no” soltanto per affetto al Cavaliere, era un voto di fiducia sulla sua persona. Ma sarà l’ultima chiamata», hanno avvertito alcuni deputati critici in Transatlantico.
Tradotto: da ora in poi, se la linea non cambierà, sarà “liberi tutti”. E nessuna opzione sarà esclusa, compreso lo scenario di una separazione del gruppo azzurro di Montecitorio: «Gruppi autonomi? Al momento mi sembra una extrema ratio. Ma certo se si continua in questa direzione…», ha rivelato a Giornalettismo un esponente di rango vicino al senatore toscano Verdini, l’architetto azzurro del Nazareno. Vero regista della “rivolta” – seppur mascherata – interna.
FORZA ITALIA, IL DOCUMENTO DI “VERDINIANI” E PRO-NAZARENO –
Altro che partito unito e compatto, come provano a dipingere Forza Italia sia Berlusconi che il suo “cerchio magico”. Nonostante il capogruppo Renato Brunetta abbia provato a minimizzare le tensioni, parlando di diverse «sensibilità» presenti , «giustificabili dopo un anno sofferto di Nazareno», il partito del Cav è a dir poco balcanizzato. Divisioni evidenti, sebbene lo stesso Berlusconi preferisca parlare di “cassandre smentite” e di “senso di responsabilità” dei deputati, rifugiandosi dietro l’esito della votazione.
Al di là del voto, però, Forza Italia resta un “Vietnam”, tra correnti in lotta per il potere: «Noi uniti? Un’assurdità. Basta fare qualche calcolo: tra i 18 deputati fittiani ribelli e noi che abbiamo firmato il documento pro-Riforme, siamo in 36 in disaccordo. Su un gruppo di 70», spiega uno dei firmatari. E i numeri sono pure sfumati: «Altri si sono rifiutati di firmare perché chiedevano un atto ancora più forte. Il via libera alle Riforme. O almeno un’astensione», precisa un verdiniano doc, senza svelare nomi. Certi sono invece quelli dei firmatari dissidenti: tra loro ci sono fedelissimi del senatore toscano come Luca D’Alessandro e Ignazio Abrignani. O il coordinatore regionale toscano Massimo Parisi. Ma nell’elenco compaiono anche Daniela Santanchè, Laura Ravetto, l’ex sindaco di Castiglione della Pescaia Monica Faenzi. E poi anche:
Luca Squeri, Basilio Catanoso, Antonio Marotta, Giovanni Mottola, Giuseppe Romele, Marco Martinelli, Carlo Sarro, Gregorio Fontana e Giorgio Lainati (non c’è invece il deputato Paolo Russo, assente dall’Aula ma indicato tra coloro che avrebbero firmato, perché non avrebbe apprezzato alcuni passaggi del testo, ndr).
Eppure, secondo fonti in Transatlantico, almeno un’altra ventina di deputati è rimasta a lungo scettica e perplessa sul voto, critica sulla scelta berlusconiana di opporsi al disegno di legge Boschi. Una strategia considerata “inspiegabile”. A dir poco “folle”, dopo aver già votato lo stesso testo a Palazzo Madama. E dopo mesi di Nazareno totale, fino al “fallimento” azzurro del Quirinale. Già pochi giorni fa Mariastella Gelmini aveva contestato i toni del Mattinale (il foglio redatto dal gruppo della Camera) e l’antirenzismo oltranzista del capogruppo Brunetta.
E anche oggi, per ore, in Transatlantico sono proseguiti i contatti tra verdiniani e “colombe”, prima del voto finale. Poi, la scelta della lettera e dello strappo “coperto” dalla finta pax: «Oggi voterò no soltanto perché lo chiede Berlusconi, ma auspico che Fi possa rientrare nell’iter delle riforme. Noi a questo Ddl abbiamo lavorato e contribuito a migliorarlo», ha rivendicato la stessa Ravetto, interpellata da Giornalettismo. «Non intendo passare per traditrice, né fare come Alfano, Ma è chiaro che ora Berlusconi dovrà fare le sue valutazioni. Il segnale è evidente», ha invece spiegato Santanché.
In realtà, Berlusconi non sembra aver colto il “messaggio”: «Oggi si apre una nuova era di centralità per il nostro movimento politico. Mi auguro che tutti lavorino per portarla avanti con armonia, rinunciando a qualche protagonismo di troppo e a qualche distinguo dal sapore un po’ strumentale», ha commentato il leader azzurro, allontanando un cambio di linea. Eppure dentro Fi una buona parte del partito spinge affinché venga resuscitata la linea delle riforme.
FORZA ITALIA, IN BILICO L’INCARICO DI BRUNETTA –
«Non abbiamo votato norme mostruose, né partecipato ad una svolta autoritaria del Paese, ma semmai abbiamo contributo a migliorare norme che nell’altro ramo del Parlamento il nostro gruppo aveva già approvato anche su Tua indicazione», hanno rivendicato nella missiva verdiniani e “nazareni”. Ma nella lettera si critica anche la gestione sia del gruppo della Camera, che dell’intero partito. Tanto che, seppur in modo meno diretto rispetto a quanto si sussurrava prima del voto, ad essere sfiduciato è stato lo stesso Renato Brunetta. In molti tra i ribelli chiedono un suo passo indietro. «O almeno che si voti per decidere il capogruppo», si rilancia tra i corridoi di Montecitorio. E l’impressione è che l’incarico del capogruppo sia sempre più precario. Già contestato da settimane anche da Fitto e dal suo “correntone”, i frondisti anti-Nazareni che continuano a rivendicare l’azzeramento della classe dirigente.
«La conduzione del nostro gruppo parlamentare mostra quotidianamente un deficit di democrazia, partecipazione ed organizzazione: non è pensabile, per rispetto dell’intelligenza di tutti, che si continui a riunirsi per ratificare decisioni già prese altrove e che magari ti vengono rappresentate come decisioni unitarie del gruppo. Ebbene come dimostra questo documento il gruppo non è né unito né persuaso dalla linea che è stata scelta», si legge nel documento dei verdiniani.
Al momento, però, Berlusconi prova a blindare Brunetta: «Ringrazio tutti i parlamentari, i deputati e il loro capogruppo Renato Brunetta, che si è assunto il non facile compito di argomentare le nostre scelte e del quale ho condiviso l intervento in Aula nei toni e nelle parole». Ma le pressioni sul capogruppo restano.
VERDINI “CHIAMA” RENZI –
I ribelli della “prima ora” del fronte fittiano, invece, hanno preferito ironizzare: «Diamo il benvenuto al partito all’opposizione». Non senza precisare come il “no” del “correntone” dissidente sia «nel merito» e «non un atto di fiducia a qualcuno» come quello dei 18 firmatari del documento. In Transatlantico c’è stato anche chi, come il siciliano Saverio Romano, ha rimarcato le differenze: «Dentro Fi c’è un no primigeneo, il nostro, legato ai contenuti delle Riforme. C’è poi un “no” di ripicca sul patto (quello del Cav, ndr). E un “no” di fiducia a Berlusconi». Per la serie, la tesi dell’unità ritrovata è soltanto una “messinscena“.
Chiaro che ormai Berlusconi non controlli più il partito. Diviso in almeno tre anime: lo stesso Cav con i lealisti, la fronda fittiana e quella dei verdiniani. Quest’ultima, una possibile scialuppa per Renzi e il suo governo. Perché se alla Camera i numeri della maggioranza sono ampi, a Palazzo Madama la maggioranza potrebbe rischiare, considerate le resistenze in casa dem. E Verdini, con il documento politico inviato a Berlusconi, ha avvertito anche Palazzo Chigi. Se servirà, il “soccorso azzurro” non mancherà. Sulle riforme come sulla legge elettorale.