Riforme, “stampella” azzurra sull’art.17. E Fi rompe il fronte delle opposizioni
07/10/2015 di Alberto Sofia
Prima le urla di Forza Italia contro le riforme renziane, il rischio regime evocato dal Cav, la lettera da inviare a Mattarella per un suo intervento. Poi, in Aula, arriva il “soccorso azzurro” di 30 senatori forzisti alla maggioranza. Una stampella su un emendamento all’articolo 17 della minoranza dem, a firma Dirindin, sulla “deliberazione dello stato di guerra“. Un passaggio che rischiava di mettere in difficoltà l’esecutivo. Superato, anche grazie ai voti di Forza Italia. A Palazzo Madama è il giorno dell’ultimo paradosso in salsa azzurra. Poche ore prima che Berlusconi tornasse a rievocare la (presunta) “emergenza democratica“, prima di incontrare Nunzia De Girolamo e gli amministratori locali campani nella sede nazionale di Fi, il gruppo del Cav correva così in aiuto del governo. Spaccando, di fatto, quel fronte – già precario – delle opposizioni al Ddl Boschi.
Guarda l’intervista. Romani: “Nessun aiuto al governo”
RIFORME, STAMPELLA AZZURRA SULL’ART.17. MA ROMANI: “RAGIONI DI MERITO” –
Certo, dal fronte azzurro si sono difesi ad oltranza dalle accuse di aver salvato Renzi. Tanto da arrivare fino ad “elogiare” l’irrilevanza dei numeri del partito: «Se fate bene i conti, vedrete che il nostro apporto non è stato decisivo. E poi la nostra decisione è stata soltanto di merito», si è affrettato a giustificarsi il capogruppo Paolo Romani dalle fila forziste. «Invece che un tatticismo parlamentare che poteva essere quello di mettere sotto la maggioranza su un emendamento irrilevante, ho privilegiato la carta costituzionale», si è difeso. «Soccorso azzurro? No, non c’è stato alcun aiuto. In Aula le stampelle arrivano semmai da altri gruppi», gli ha fatto eco Maurizio Gasparri, rilanciando le polemiche contro quei senatori passati con l’ex plenipotenziario azzurro Verdini, alla corte di Renzi.
Ma tanto è bastato per spingere Lega, M5S, Sel, fittiani e tutta la fronda del “no” ad attaccare il partito del Cav. E rievocare un clima da Nazareno. «Perenne e mai morto», denunciava già l’ex ribelle azzurro Raffaele Fitto, uscito dal partito per dar vita ai Conservatori e Riformisti. Accuse oggi rilanciate dal Carroccio, dopo l’assist azzurro al governo. E che rischiano di incrinare quell’asse in costruzione tra lo stesso Berlusconi e Salvini, in vista delle amministrative della primavera 2016 .
RIFORME, SOCCORSO AZZURRO AL GOVERNO. FAIDA LEGA-FI IN AULA –
Certo, perché la Lega non ha risparmiato frecciate al (possibile) futuro alleato. Così come ai tre senatori fedeli all’ex leghista Tosi, “rei” allo stesso modo di aver offerto il loro appoggio al governo sul nodo dell’articolo 17. In Aula è stato il capogruppo leghista Gian Marco Centinaio a protestare contro Fi: «Una volta che la maggioranza era in difficoltà, le avete fatto la stampella. Non vogliamo più parlare con questa Fi, ma con quella che vuole essere alternativa a Renzi. Oggi il Patto del Nazareno è stato superato da un patto Renzi-Berlusconi-Verdini-Tosi». Un attacco che sembra andare oltre il semplice esame del Ddl Boschi.Per arrivare alle dinamiche e faide interne ai partiti. Perché se la Lega denuncia gli “aiuti” azzurri al governo, allo stesso modo il suo segretario Salvini – al contrario di Maroni – insiste affinché Ncd, che al governo c’è già, resti fuori dalla coalizione di centrodestra alle amministrative.
Non sono mancate anche le provocazioni leghiste ai verdiniani: «Se fate i capricci, ci sono loro (i senatori Fi, ndr) a dimostrare che non servite a niente….». Parole alle quali ha replicato lo stesso capogruppo azzurro Romani: «Queste accuse sono una brutta pagina di questo Parlamento. Chi insulta, chi parla di Nazareni inesistenti non sa nulla della storia di questo Paese e non si merita forse nemmeno il posto in Parlamento». Una faida incrociata che segna la pagina finale di un asse, semmai fosse nato, tra i partiti contrari al Ddl Boschi renziano. Subito naufragato. Tanto che dalla stessa maggioranza ne hanno approfittato per parlare di opposizioni “divise e lacerate”.
RIFORME, ANCHE LA MINORANZA PD SI SCIOGLIE (ANCORA)….
Cambia poco che durante le votazioni sull’articolo 21 del Ddl Boschi (sulle modalità di elezione del presidente della Repubblica, ndr), tutte le opposizioni alla fine non abbiano partecipato al voto. Una sorta di Aventino che in realtà è soltanto una casualità. Non certo frutto di un’intesa. Perché la Lega aveva già deciso di abbandonare i lavori, il M5s aveva già annunciato di non voler prendere parte al voto. E, al momento dello scrutinio, anche i senatori di Sel e Fi hanno preso la stessa decisione. Disertando la votazione passata con 161 voti favorevoli, 3 voti contrari e 5 astenuti. Questo perché anche la minoranza Pd, che annunciava battaglia sui quorum per l’elezione del presidente della Repubblica e sulle norme transitorie, alla fine si è sciolta. Come già volte in passato. E ha dato il via libera a un nuovo accordo, incassando ben poco in cambio. Il motivo? Sull’articolo 21 il testo è rimasto lo stesso che era stato criticato dai dissidenti dem alla Camera, sull’articolo 39 la minoranza si fiderà di un emendamento che verrà presentato dal governo. Tradotto, come quelle azzurre, anche le minacce battagliere dei “ribelli” dem sono subito svanite. Al contrario, un nuovo caso si è aperto dentro Ncd, con Augello e Quagliariello che hanno votato in dissenso dal gruppo sull’articolo 21, contrari al testo licenziato. Non senza scatenare per diversi minuti in Aula evidenti malumori nel gruppo alfaniano, a dimostrazione di come il partito sia tutt’altro che unito.
RIFORME, CONFUSIONE FORZA ITALIA –
Tutto mentre in casa Forza Italia resta ancora totale la confusione, sia sui comportamenti da tenere in Aula, che sulla strategia del partito. Berlusconi non si è presentato alla riunione dei senatori. E nel vertice non è stata presa alcuna decisione in vista del voto finale sul provvedimento. C’è chi, come Augusto Minzolini spinge già per uscire dall’Aula e non partecipare al voto: «Non possiamo legittimare questo Ddl Boschi, se lo votino il Pd e i transfughi…». A Romani e ai vertici del partito l’Aventino, però, piace ben poco: «Discuteremo, dobbiamo trovare una posizione unitaria», ha spiegato Malan. «Ne parleremo alla prossima riunione», ha precisato il capogruppo. La realtà è che dentro Fi l’incubo è che il gruppo possa votare in ordine sparso. E non rispettare un’eventuale scelta di uscire dall’Aula. Anche perché c’è ancora un fronte che comprende ben poco perché un provvedimento prima votato da Fi venga ora bollato come «autoritario» e «pericoloso per la democrazia».
Guarda l’intervista: D’Anna contro Grasso dopo la sospensione per il gesto sessista
ALA DI VERDINI, NUOVI INGRESSI IN ARRIVO –
Non è un caso che tutto il gruppo di Fi – e non solo – resti ancora vittima dello scouting di Denis Verdini. Pronto ad accogliere chi vuole cambiare sponda parlamentare. Per ora, tra le fila azzurre, c’è Riccardo Villari in stand-by: al momento il senatore ha spiegato che voterà a favore del Ddl Boschi, ma che resterà dentro Fi. E poi c’è l’ex Guardasigilli Nitto Palma, che di fatto è un separato in casa, pur avendo già spiegato di non voler far parte di correnti. «Si, lui rimane critico, ha scelto una posizione di isolamento», ha ammesso a microfoni spenti un senatore azzurro a Giornalettismo.
Guarda l’intervista al verdiniano D’Anna: «Dopo le riforme, altri 5 o 6 arrivi in ALA»
Ma non sono gli unici con la “valigia pronta”, di fronte a un partito ancora disorientato. «Dopo le riforme ne arriveranno altri 5 o 6 dentro Ala, ma non vi dico i nomi. Fanno parte di partiti contrari al Ddl Boschi», rivendica intanto il senatore verdiniano D’Anna a Giornalettismo. «Ci raggiungeranno dopo le riforme, perché non vogliamo che dicano che ce li siamo comprati per votare il Ddl Boschi». E anche se formalmente Ala resta fuori dalla maggioranza, i verdiniani ormai offrono il loro sostegno anche su altri provvedimenti, come avvenuto sul Ddl Concorrenza. E il salvagente è pronto anche su legge di stabilità e giustizia. Tradotto, ormai l’asse con Renzi è totale.