Le schiave rumene nelle campagne siciliane
02/10/2014 di Redazione
Lavorano come gli uomini, ma offrono un’occasione in più ai loro datori di lavoro, che approfittano crudelmente del loro stato di bisogno per costringerle alla schiavitù anche sessuale. Lo rivela un’inchiesta de L’Espresso, che scopre una realtà raccapricciante nelle campagne del ragusano, che prospera grazie a una diffusa miseria morale e alla latitanza delle istituzioni, che semmai peggiorano ulteriormente la condizione delle immigrate.
SFRUTTATE E VIOLENTATE – Uomini che usano le braccianti rumene come schiave sessuali, minacciando di licenziarle o di separarle dai loro bambini. Donne che danno che la colpa alle rumene che tentano il «maschio siciliano», che non sembra affatto in imbarazzo e si vanta di queste «conquiste». Poi ci sono le istituzioni, quelle addette alla repressione dei reati che non vedono e quelle preposte al welfare che negano alle immigrate persino un diritto come l’aborto. Questo in sintesi il risultato dell’inchiesta dal titolo «Violentate nel silenzio dei campi a Ragusa
LO SANNO TUTTI, NON PARLA NESSUNO – Le rumene vengono da Botosani, una delle zone più povere del paese, una zona agricola, e arrivano nei campi siciliani perché qui è più facile portare con sé i bambini, gli stessi che poi diventano strumento di ricatto nelle mani dei padroni, aggiungendosi allo stato di bisogno di persone che emigrano per lavorare per salari da fame e senza alcuna tutela. Ricatto che ha uno scopo ben preciso, quello di approfittare sessualmente di queste donne:
Una cascina in aperta campagna. Ragazze rumene sui vent’anni. Un padrone che offre carne fresca ai parenti, agli amici. Ai figli. Tutti sanno e tutti tacciono. Don Beniamino Sacco è il sacerdote che per primo ha denunciato i “festini agricoli”. «Sono diffusi soprattutto nelle piccole aziende a conduzione familiare», denuncia il parroco. Tre anni fa ha mandato in carcere un padrone sfruttatore. Ha subito minacce e risposto con una battuta: «Non muoio neanche se mi ammazzano».
MENTALITÀ ARCAICHE – Un fenomeno favorito anche dall’incrocio perverso di due mentalità ataviche, ugualmente omertose:
La solidarietà è scarsa, anche tra rumeni. Come è possibile che tutto questo succeda nel silenzio generale? Secondo Ausilia Cosentini, operatrice sociale dell’associazione “Proxima”, «la mancanza di solidarietà tra i rumeni, e la loro mentalità omertosa, si incastra con quella altrettanto omertosa del territorio. In più, da qualche mese noto un aumento dell’intolleranza»
L’OLTRAGGIO DA PARTE DELLO STATO – Ma non basta, perché all’assenza dello stato e del rispetto delle più elementari regole di civiltà, ad affliggere le poverette ci si mettono anche le istituzioni, che nella cattolicissima Sicilia non sono in grado di soddisfare il diritto all’aborto, a rinunciare ai frutti di quella violenza:
«Nel caso specifico di Vittoria le donne si trovano impossibilitate ad interrompere la gravidanza poiché tutti i medici sono obiettori di coscienza», spiega la ricerca dell’“Associazione Diritti Umani”. Solo all’ospedale di Modica sono presenti medici non obiettori, ma la crescita esponenziale di richieste di aborto porta un allungamento dei tempi di attesa, rendendo impossibile l’aborto entro i tre mesi previsti dalla legge. Alcune donne sono costrette a ritornare nei loro paesi d’origine per abortire. Altre, invece, si affidano a strutture abusive e a persone che, sotto cospicuo pagamento, praticano l’aborto senza averne competenza».
Uno scenario raccapricciante che i dettagli illustrati nell’articolo di Mangano contibuiscono a rendere ancora più triste e sporco, una vergogna non solo per la Sicilia, ma per tutto il paese, che proprio da quelle campagne e da questo sfruttamento ricava buona parte dell’ortofrutta che arriva sulle nostre tavole.