Europa: l’Italia tenta di far meglio della Germania di Schröder
27/07/2015 di Timoteo Carpita
Il 14 luglio la Banca d’Italia ha pubblicato il suo ultimo supplemento “Finanza pubblica, fabbisogno e debito” al proprio Bollettino statistico. Sui social è subito rimbalzata la “notizia” che il debito pubblico italiano è ulteriormente aumentato. In questi casi, come ricordato anche da fonti più attendibili, è bene distinguere tra debito in termini monetari (la cifra in miliardi di euro) e il debito rapportato al PIL (una percentuale). Non è un caso che una delle soglie fissate dalla “esigente” Europa si basa sul rapporto tra debito e Pil: questo indicatore permette di confrontare dati nel tempo e tra Paesi di dimensioni diverse.
Dunque, è verissimo che il debito monetario continua ad aumentare, ma bisogna aggiungere anche che il peso del debito pubblico italiano sul prodotto interno lordo è stimato in aumento fino a quest’anno (toccando il 132,5%), mentre dovrebbe cominciare a calare dal 2016 fino ad arrivare al 120,0% nel 2019. Si deve, cioè, considerare anche l’andamento del PIL. Si tratta, comunque, di qualcosa già previsto e pubblicato anche dal Ministero dell’Economia nel DEF dello scorso aprile e non in contrasto con quanto scritto da Bankitalia.
Ho voluto segnalare questo fatto, non solo per ricordare che i dati (macro)economici possono essere usati a proprio piacimento fino a un certo punto, ma soprattutto perché lo ritengo utile per sottolineare la rilevanza del contesto in cui si vogliono fare riforme strutturali. L’altro indicatore con cui, non solo in Europa, va a braccetto il rapporto debito/Pil è il rapporto tra deficit (o surplus) di bilancio e sempre il Pil. Se, per quanto riguarda il primo, l’Italia è collocata male con un dato oltre il 130% (ricordiamo tutti i famosi anni ’80 e qualche parentesi negli ultimi 20 anni), per quanto concerne il secondo il nostro Paese presenta un bel 3% rientrando preciso, quindi, nei vincoli dell’Euro.
Ovviamente nel brevissimo periodo, per dimostrare di operare in modo virtuoso, un Governo deve rispettare il vincolo del 3% del deficit sul Pil; più arduo, se non impossibile, è invece rispettare quello del 60% del debito pubblico sul Pil, soprattutto se sei l’Italia (o la Grecia ma anche Portogallo o Spagna, vedi grafico 1) e sei ben al di sopra. E infatti l’Europa si accontenta del trend in diminuzione.
Ecco che, a questo punto, si capisce come l’Italia abbia come obiettivo quello di riuscire a rispettare il 3% menzionato, mentre mette mano ai grandi nodi strutturali del Paese. A questo proposito, per capire la portata della sfida, è utile fare il confronto con la Germania di inizio anni 2000, quella governata dal socialdemocratico Schröder che introdusse le riforme del cosiddetto piano Hartz all’interno dell’Agenda 2010, comprendente, in primo luogo, interventi sul mercato del lavoro simili a quelli italiani di circa dieci anni dopo. Dal grafico 2 si nota come la Germania, in quegli anni, sforò la soglia del 3%. Il motore d’Europa (che all’epoca era chiamato “il malato d’Europa”) non riuscì a tenere a bada il vincolo che ora l’Italia, alle prese con riforme analoghe, vuole dimostrare di poter rispettare.
Se tale volontà sarà confermata dai fatti dei prossimi mesi e anni (vedi grafico 3), anche da qui passerà la costruzione di una terza idea di Europa: unire stabilità dei conti e interventi per la crescita. La serietà, che andrebbe a sostituire l’austerità, sarebbe perseguita insieme ad una politica di investimenti, resi possibili per la creazione di migliori condizioni di base grazie al completamento delle riforme strutturali.
Altrimenti, le due ipotesi alternative di Europa che sono in campo sono presto dette. Da una parte c’è quella definitivamente ufficializzata da Schäuble nelle ultime concitate ore del negoziato con la Grecia e che avrebbe registrato un’accelerazione senza l’intervento di Francia e Italia: un’unione politica tra un numero più ristretto di Stati membri, quelli con caratteristiche attualmente più omogenee, i più solidi potremmo dire, mentre tutti gli altri verrebbero gentilmente accompagnati alla porta. Dall’altro lato c’è la possibilità di lasciare tutto com’è o, se si preferisce, animare “esperimenti mediatici” alla Tsipras, che abbiamo appena visto come vanno a finire e che preludono conseguenze progressivamente peggiori.
La terza idea che l’Italia prova a mettere in campo, dunque, sembrerebbe più utile oltre che affascinante: tenere tutti dentro per andare verso un’unione politica e completare davvero il sogno europeo. Non si può restare in mezzo al guado: l’Italia sembrerebbe lavorare per andare avanti e non per tornare indietro. Questa storia complessa dell’Europa, oltre che del nostro Paese, sarà ulteriormente approfondita.