Sebastiano Pizzelli: morire di omicidio stradale a 14 anni
17/02/2014 di Stefania Carboni
Sebastiano Pizzelli, 14 anni, stava attraversando le strisce pedonali prima di salire sul bus che lo avrebbe portato a scuola. Erano le sette del mattino del 12 ottobre 2011 a San Giuliano Milanese. A travolgerlo al volante di una utilitaria su via Emilia, un giovane neopatentato di San Donato Milanese. Il ragazzo si stava recando al lavoro e si trovava, come poi riveleranno le analisi, sotto effetto di cannabinoidi. Il piccolo Sebastiano non ce la farà. Morirà dopo alcuni giorni di agonia all’ospedale Niguarda. Il 18 ottobre viene dichiarata la morte celebrale del ragazzino e la donazione degli organi. Ora, dopo due anni e tre mesi dall’incidente, il tribunale si è pronunciato sul ragazzo che ha investito Seba davanti agli occhi attoniti del fratello gemello Tommaso. Il verdetto però è irrisorio: un anno e otto mesi e due anni di sospensione della patente. Cristina, mamma di Seba e Tommaso, non ce la fa. È amareggiata e piena di rabbia: «È questo quello che può valere la vita di un ragazzo? Venti mesi, non un giorno di riabilitazione verso la “comunità”, non una parola di scuse, e tanti saluti. E magari farà anche ricorso. Siamo profondamente indignati. Speravamo di avere a che fare con la “Giustizia“, ma i fatti dicono altro».
INVESTITORE PULITO NONOSTANTE I CANNABINOIDI – Nel procedimento si è escluso che il ragazzo sia stato sotto l’effetto di sostanze al momento dell’impatto. «La guida sotto sostanze stupefacenti – spiega Cristina – è un aspetto su cui ha puntato la difesa. Si è contestato il fatto che l’esame fosse fatto sulle urine piuttosto che effettuato su prelievo sangue. Non solo, è stato contestato il fatto che sia stato svolto in un ospedale differente a quello in cui il ragazzo è stato accolto dopo l’incidente. Su questo si aprirà una altra battaglia. Che l’incidente fosse gravissimo già lo si sapeva. Sebastiano era arrivato all’ospedale in condizioni gravissime. In questi casi ci dovrebbe essere un protocollo che permetta di garantire sugli accertamenti nelle persone coinvolte nell’incidente. Esami che una volta fatti siano difficilmente contestabili». Il ragazzo è stato giudicato in primo grado con rito abbreviato e il pm stesso avrebbe chiesto due anni. «Aspettiamo le motivazioni della sentenza – spiega la mamma di Seba – si sono usate qui tutte le attenuanti del mondo. In ogni caso il ragazzo doveva stare in fondo alla fila d’auto in attesa. Ha sorpassato le macchine in fila e si è immesso nella corsia di svolta a sinistra. Oltretutto in quel tratto oltre al limite di 50 chilometri orari si doveva rallentare di più perché era presente un cantiere all’altezza della fermata bus». Cristina è infuriata, come dice lei “pacificamente”: «Ho aspettato un po’ prima di parlare. Intanto non capisco il troppo tempo passato in attesa di udienze, a volte rimandate. Si è cambiato anche il giudice nel corso del procedimento e abbiamo avuto problemi anche con le assicurazioni. Ci sono problemi con i risarcimenti. Hanno dato un miserabile acconto dopo più di un anno». Il ragazzo al momento dell’impatto viaggiava sui 65 chilometri orari ed è rimasto il dubbio sul colore del semaforo al momento dell’incidente e contestato dalla difesa. Nessun altro automobilista presente però sul posto ha travolto gli altri studenti che stavano attraversando la strada con Sebastiano.
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IL DIMENTICATO OMICIDIO STRADALE – Cristina Omini ha passato diversi mesi sotto terapia. Il fratello di Seba, Tommaso, non ha ancora realizzato tutto questo turbine assurdo di processi e la perdita di suo fratello gemello: «Lui su queste cose è molto chiuso. È un adolescente, ha la sindrome del sopravissuto». La famiglia dell’investitore, mentre il ragazzino lottava tra la vita e la morte, ha mandato una lettera alla famiglia di Cristina: «Pregavano perché ce la facesse ma lui, avendo più volte occasione in aula di parlarci, non si è mai scusato». Quello che chiede una mamma che ha perso il suo piccolo è solo questo: «I fatti raccontano di persone incarcerate per reati “minori” e di pene irrisorie per chi ammazza alla guida. Chiediamo subito il reato di omicidio stradale». L’ex oramai ministro Cancellieri, il giorno di Capodanno, si era impegnata a portare in Consiglio dei ministri entro gennaio la proposta di istituzione del reato di omicidio stradale. L’impegno però, nel giro di meno di un mese, è rimasto solo tale senza nulla di concreto. «Io – spiega Cristina – spingerò per questo. Adesso un ministro non ce l’abbiamo. Ho inviato una lettera al Presidente del Senato Grasso. Sono spesso in contatto con Betty, la mamma di Andrea De Nardo (il ragazzo ucciso da un pirata della strada mentre stava uscendo dall’oratorio di Peschiera Borromeo). Voglio mettere un tassello in più su tutto questo. Più se ne parla meglio è». Cristina spiega come i giudici sono sempre più difficoltà: «Si passa spesso da un omicidio volontario ad un colposo. Già il pm in questo caso ha chiesto due anni. Secondo me esser giovani è una aggravante piuttosto che una attenuante. Non si può pensare che la strada sia come un joystick della Playstation».
DENTRO IL VUOTO NORMATIVO – «Sono amareggiata – racconta Cristina – ma riconosco che esiste un problema a livello legislativo. I giudici non hanno strumenti in mano per poter decidere al meglio. Se ci fosse il reato di omicidio stradale si potrebbe avere un deterrente anche per chi si mette alla guida». Ogni anno oltre 4 mila persone perdono la vita in seguito a scontri stradali. Un terzo di queste sono casi riconducibili al cosiddetto “omicidio stradale”. L’Associazione Lorenzo Guarnieri a Firenze ha lanciato il Piano David con una proposta di legge popolare che introduce inasprimento delle pene per chi guida in stato di alterazione da alcol e droga rendendosi responsabile di un incidente mortale o di lesioni gravi. Chissà se Matteo Renzi, papabile nuovo presidente del Consiglio, si impegnerà in tal senso a livello nazionale. Quello che è certo è che nulla potrà far tornare indietro Sebastiano: «Nulla ci potrà ridare lui e niente ci potrà risollevare, ma un certo senso di giustizia ci aiuterà sicuramente in questa situazione». Cristina ha la voce rotta dall’emozione: «Un giudice è sempre un giudice aldilà di quello che può avanzare un legale. Ma se non si hanno norme precise non c’è nessun deterrente per chi si mette alla guida».