Sinodo della Famiglia: «I divorziati risposati appartengono alla Chiesa»
06/10/2014 di Tommaso Caldarelli
Sinodo della Famiglia, Papa Francesco apre i lavori dell’assemblea dei Vescovi della cristianità deputata a fare il punto sulla Pastorale cattolica sulla famiglia. Dopo l’intervento del pontefice Argentino, che ha invitato i Padri Sinodali alla “Parresia”, ovvero a “dire tutto quel che nel Signore si sente di dover dire, senza rispetto umano o pavidità” e senza evitare di parlare magari “pensando che il Papa pensi qualcosa di diverso“, il cardinale ungherese Peter Erdo ha pronunciato la Relatio introduttiva dei lavori.
SINODO DELLA FAMIGLIA, LA RELATIO – Peter Erdo non è certo annoverabile nello schieramento, pur multiforme e mutevole, dei vescovi con posizioni pastorali più aperte ad un cambiamento della pratica disciplinare sulla famiglia, e dunque ad aperture, più o meno nette, nei confronti dei divorziati risposati, ad esempio, ma anche a riletture della pastorale riproduttiva della Chiesa formalizzata nell’Humanae Vitae di papa Paolo VI che sarà proclamato beato al termine dei lavori del sinodo. Già dato per papabile nel conclave che ha eletto Francesco, Peter Erdo nei giorni scorsi ha anticipato quelli che sarebbero stati i contenuti della sua Relatio introduttiva; sulla questione del ritorno dei divorziati risposati al Sacramento, e persino riguardo la possibilità di un percorso che porti alle seconde nozze nonostante il collasso di una prima unione, Erdo ha detto chiaramente che il problema nella Chiesa per ora è “ben altro“.
DIVORZIATI RISPOSATI, SOLO UNO DEI PROBLEMI – La Relatio introduttiva non muta il quadro. “Quello dei divorziati risposati è solo un problema nel grande numero di sfide pastorali”, e anzi, dice il prelato davanti ai Padri Sinodali, “esistono alcuni paesi in cui non si dà questo problema, in quanto non esiste matrimonio civile”. Vero è che, come dice l’Instrumentum Laboris, “nell’ambito di quelle che possono definirsi situazioni matrimoniali difficili si celano storie di grande sofferenza e di grande amore”, e che la Chiesa deve porsi il problema di come “far curare le ferite, guarire e far riprendere a camminare queste persone insieme alla comunità ecclesiale” anche perché, ha detto il Relatore Generale, “i divorziati risposati appartengono alla Chiesa“. Però, “per affrontare correttamente tali situazioni, la Chiesa afferma il valore irrinunciabile della verità dell’indissolubilità del matrimonio, fondata già sul progetto originale del Creatore”. E il punto, dice Erdo, è proprio questo: sarebbero moltissime le situazioni in cui le coppie si sposano senza avere piena coscienza del passo che stanno effettuando.
MOLTI MATRIMONI NULLI? – “Non pochi si accostano al sacramento senza la chiara consapevolezza di assumere dinanzi al Signore l’impegno di accogliere e donare la vita al coniuge, senza condizioni e per sempre. Anzi: sotto l’influsso della cultura dominante, non pochi si riservano il diritto “di non osservare la fedeltà coniugale, di divorziarsi e risposarsi se il matrimonio non dovesse funzionare“, dice Erdo. Proprio per questo e “tenendo conto della diffusione della mentalità divorzista”, non sembra azzardato, dice il porporato, “ritenere che non pochi dei matrimoni celebrati in Chiesa possano risultare non validi“. Erdo si inserisce così in una precisa linea pastorale e compie un passo importante nella direzione anticipata dall’Arcivescovo di Milano Angelo Scola: “A non pochi sembra che sia da rivedere l’obbligatorietà della doppia sentenza conforme per la dichiarazione di nullità dal vincolo matrimoniale, procedendo al secondo grado solo se c’è appello da una o da entrambe le parti ovvero da parte del difensore del vincolo“. Ma attenzione, bisogna in ogni caso “evitare qualsiasi meccanicità e l’impressione della concessione e del divorzio“.
SE PENSI AL DIVORZIO NON VALE – Se le parti che celebrano un matrimonio canonico lo fanno riservandosi anche solo mentalmente la possibilità di divorziare in seguito, si è in presenza di una “simulazione” che opera “anche senza la piena consapevolezza di questo aspetto ontologico e canonico” e che “rende invalido il matrimonio”. Per questo sarebbe auspicabile una procedura extragiudiziale basata sulla sola “confessione della parte simulante“: insomma, chi si è sposato non volendo divorziare, ma anche solo ammettendo la possibilità astratta del divorzio, si incammini in un “itinerario di conoscenza, discernimento e approfondimento che, nel caso di presenza di condizioni di invalidità, potrebbe culminare nella dichiarazione di nullità da parte del Vescovo“. E’ esattamente quanto proposto da Angelo Scola, e d’altronde Erdo aveva già chiarito, prima del sinodo, che tutta questa concentrazione sui divorziati risposati è davvero sovrabbondante, perché i problemi della Chiesa sono altri: il principale è che le persone non si sposano più :”Il fenomeno più massiccio in termini di frequenza è quello delle coppie che vivono con una certa stabilità senza aver contratto né un matrimonio civile, né un matrimonio religioso: in molti Paesi europei costituiscono la maggioranza assoluta. Il motivo? Non vogliono impegnarsi tanto. L’80% dei giovani che chiedono di celebrare il matrimonio vivono insieme già da qualche anno“, aveva detto Erdo.
UNIONI E MATRIMONI CIVILI – Che riprende tale la questione anche nella Relatio, sottolineando come il fenomeno delle unioni civili e delle convivenze debba essere visto come uno straordinario campo di evangelizzazione per la Chiesa: “Quando l’unione raggiunge un notevole livello di stabilità attraverso un vincolo pubblico, è connotata da affetto profondo (…) può essere vista come un germe da accompagnare nello sviluppo verso il sacramento del matrimonio”, perché la Chiesa “non può non cogliere anche in situazioni a prima vista lontane da criteri rispondenti al Vangelo un’opportunità per farsi accanto alle persone“. Non mancano le stoccate, sia sugli omosessuali sia, forse più profonda, sulla morale sessuale e sul nuovo senso dell’Humanae Vitae, l’enciclica di Paolo VI.
OMOSESSUALI E PROCREAZIONE – Il primo aspetto viene, si potrebbe dire, sostanzialmente liquidato in un paragrafo: “Nell’Instrumentum Laboris emergono due aspetti chiari riguardo l’omosessualità. Prima di tutto, un ampio consenso riguardo il fatto che persone di tendenza omosessuale non devono essere discriminate. In secondo luogo emerge con altrettanta chiarezza che da parte della maggioranza dei battezzati, e della totalità delle conferenze episcopali, non è attesa un’equiparazione di questi rapporti con il matrimonio tra uomo e donna”. Punto, e via: e ancor più importante è l’invito ad una “riproposizione positiva” dell’Humanae Vitae di Paolo VI. Tuttavia, e per un prelato delle posizioni di Erdo può essere vista come la massima apertura possibile, il porporato concede che l’enciclica va letta “tramite un’ermenenutica storica adeguata che sappia cogliere i fattori storici e le preoccupazioni alla base della sua stesura”. Inoltre, “la norma morale da essa ricordata si attua alla luce della legge della gradualità” contenuta nella Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II. Come a dire che i contenuti dell’Humanae Vitae sono sì, ancora validi, ma anch’essi camminano insieme all’uomo “in quanto essere storico, che conosce, ama e compie il bene morale secondo tappe di crescita“. Quanto poi queste sollecitazioni diventino spunti di cambiamento, sarà la discussione sinodale a dirlo.