Storie paralimpiche

VETERANA – Tatyana McFadden è un’atleta paralimpica veterana. Ha la spina bifida fin da quando era piccola, in quell’orfanotrofio russo dove ha passato i primi anni della sua vita senza avere la possibilità di stare su di una sedia a rotelle, necessaria data la sua condizione che compromette lo sviluppo della colonna vertebrale e “comporta paralisi”. Nel 1994 Debbie McFadden, dirigente del ministero della Salute americano, si imbatte nell’orfanotrofio di Debbie e la adotta, portandola in America: dove, da quel momento, lo sport diventa la sua ragione di vita. Ha già corso a Pechino, dove ha vinto l’argento nei 100 metri e il bronzo nei 200: corsa sulla bicicletta a tre ruote azionata con le mani, ovviamente. A Londra, racconta, correrà per tutte le gare: i 100, i 200, i 400, gli 800, i 1500, la maratona. A queste gare corrispondono altrettanti periodi di allenamento durante l’anno: “Adoro correre, mi piace la velocità”, dice Tatyana. Per tutti i suoi compagni nel team paralimpico Usa, lei è “la bestia”. Per quanto è forte, e resistente.

GIOIELLI DI MADRE – Niente è problematico per una madre quanto scegliere per quale figlio parteggiare: Helen Hynd è davvero nel mezzo del guado se è vero che Sam e Oliver, i suoi due figli affetti da miopatia neuromuscolare – una condizione “che indebolisce grandemente le loro gambe” – ed entrambi nuotatori paralimpici, hanno già nuotato nella stessa piscina, per la stessa gara, arrivando peraltro primo e secondo agli scorsi cambionati di Berlino. Nuoteranno i 400 metri a stile libero anche a Londra: della loro disabilità, più lieve se comparata ad altri handicap presenti a Londra, parlano con agio. “Ho avuto dei problemi, ne avrò e imparerò a superarli”, dice Sam: “Impari a farci i conti e continui a sviluppare strategie per affrontarli. Impari che hai dei limiti ma sta tutto nel superarli”.

 

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