Strage di Bologna, 35 anni senza mandanti
02/08/2015 di Alberto Sofia
Trentacinque anni senza mandanti. E con due degli esecutori materiali della strage condannati in via definitiva, gli ex terroristi neofascisti (appartenenti ai Nar) Valerio Fioravanti e Francesca Mambro, ma da diversi anni in libertà. Era il 2 agosto 1980, quando, alle 10.35, esplose alla stazione di Bologna una valigia carica di tritolo. Ottantacinque furono i morti, 200 i feriti, per una delle pagine più buie della storia della Repubblica. E ancora mai del tutto chiarita. Uno schiaffo ai parenti delle vittime dell’attentato, il peggiore per numero di vittime nel nostro Paese.
STRAGE DI BOLOGNA, 35 ANNI DAL 2 AGOSTO 1980 –
A Bologna, da quel giorno, l’orologio alla stazione è rimasto fermo sull’ora della strage. E la città non ha certo consegnato all’oblio quel massacro ancora senza verità: «Bologna non dimentica», recitava lo striscione alla manifestazione dello scorso anno. Perché i ricordi di quegli attimi non si possono cancellare.
Lo scoppio, violento, causò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d’aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell’azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina. E l’esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Un eccidio senza precedenti, con i corpi delle vittime portati in ospedale con gli autobus della linea 37. All’attentato la città di Bologna rispose trasformandosi in una grande macchina di soccorso e assistenza per le vittime, sopravvissuti e parenti. Tra le vittime, 77 erano italiane, tre erano di origine tedesca, più due inglesi, uno spagnolo, un francese e un giapponese. Persero la vita anche diversi bambini: la vittima più piccola aveva soltanto tre anni.
A portare all’interno della stazione la valigia con l’esplosivo quel giorno fu, secondo quanto stabilì la Cassazione nel 2007, Luigi Ciavardini, a sua volta condannato a 30 anni. L’ex terrorista nero è in semi-libertà dal 2009. Può lasciare il carcere di Rebibbia per andare a lavorare, anche perché è inserito in un programma di recupero, come ha chiarito il garante capitolino per i detenuti quando i consiglieri Masini e Nanno (PD) denunciarono la sua presenza in Campidoglio.
Lo scorso novembre, 34 anni dopo, Mambro e Fioravanti sono stati invece condannati dal tribunale civile di Bologna a risarcire danni per 2 miliardi, 134 milioni e 273 mila euro, da versare alla Presidenza del Consiglio e al ministero dell’Interno. Soldi che i due terroristi non hanno mai voluto versare, anche perché, spiegavano i loro legali, quei «soldi, inoltre, non li hanno e mai li avranno».
Paolo Bolognesi, presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime del 2 agosto e deputato Pd, ha chiesto lo scorso marzo un’indagine ispettiva sulle procedure che hanno concesso la libertà condizionale ai due esecutori della strage di Bologna, condannati a ben 7 ergastoli ciascuno. Peccato che il governo, attraverso il sottosegretario Cosimo Maria Ferri, ha fatto sapere di non ritenere necessaria alcuna ispezione. Per Ferri i requisiti necessari per la condizionale, nel caso dei due Nar, esistevano. Compreso quello del «ravvedimento». Un paradosso dato che i due hanno sempre negato ogni coinvolgimento nella strage del 2 agosto 1980.
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STRAGE DI BOLOGNA, I FAMILIARI DELLE VITTIME CHIEDONO VERITÀ SUI MANDANTI –
Nel 35esimo anniversario di quella strage messa in atto da neofascisti, ma dai mandanti ancora oscuri, l’Associazione dei familiari delle vittime chiede ancora verità e giustizia. Tanto da aver depositato al vaglio della Procura, all’inizio di luglio, un nuovo dossier :«In lungo e approfondito lavoro di ricerca e analisi incrociata di migliaia di pagine di atti giudiziari di processi per fatti di strage e terrorismo dal 1974 ad oggi», ha spiegato lo stesso deputato dem Bolognesi. Con la richiesta di revocare l’archiviazione per l’ex Nar Gilberto Cavallini.
Secondo Bolognesi, rileggendo gli atti di processi di stragi come Piazza Fontana e Piazza della Loggia si potrebbe risalire dal terrorismo nero al «cuore oscuro delle Istituzioni» dietro la strage. Un tentativo di offrire nuove piste ai magistrati per risalire ai mandanti. Perché non riuscire a scoprirli, sono convinti i familiari delle vittime, rappresenta una grave sconfitta dello Stato. A febbraio erano state archiviate in modo definitivo anche le indagini a carico degli ex terroristi rossi tedeschi, Thomas Kram e Margot Christha Frohlich, finiti indagati nel filone della cosiddetta “pista palestinese”. Un’ipotesi quindi cestinata: ad evocarla era stato l’ex presidente della Repubblica, Francesco Cossiga, premier ai tempi dell’attentato.
STRAGE DI BOLOGNA, QUELLE PROMESSE NON ANCORA MANTENUTE DAL GOVERNO –
Ma l’Associazione dei parenti delle vittime ha lanciato un appello al governo Renzi affinché vengano rispettate anche altre promesse – mancate – sugli indennizzi, sui vitalizi e sulla piena applicazione della desecretazione degli atti riservati sulle stragi. Così come sul reato di depistaggio.
I risarcimenti sono ancora bloccati. Se nel 2004 fu votata la legge 206 a favore delle vittime del terrorismo e delle stragi, la sua attuazione non è mai stata oggetto di particolare interesse. Tanto che, nonostante le promesse dell’attuale esecutivo, quegli indennizzi non si sono mai visti:
«Non è mai stata completamente attuata perché, ci dicono, devono risolvere dieci criticità. Noi studiamo il testo e consegniamo al Governo le dieci soluzioni. Il 2 agosto 2013, il ministro Graziano Delrio ci assicura che, entro settembre, tutto si sarebbe risolto. Non avviene. Nell’aprile 2014, il ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali Giuliano Poletti assicura che nella successiva legge di stabilità i 10 punti saranno risolti. Ne risolvono solo 3 che l’INPS, però, non vuole applicare. Ad oggi stiamo ancora aspettando. Questo è il trattamento vergognoso subìto dai familiari delle vittime e dai feriti contro il quale ci battiamo», denuncia l’associazione dei parenti delle vittime nella petizione in cui si chiede a Renzi di rispettare le promesse fatte.
Così come per troppo tempo è rimasto bloccato il percorso per l’introduzione nel codice penale del reato di depistaggio. L’iter della proposta sembra essersi finalmente sbloccato in Senato, inserita all’Odg proprio venerdì 31 luglio in commissione Giustizia, dopo un’attesa lunga 300 giorni. Bolognesi aveva presentato la proposta di introduzione del reato nel codice penale già al termine di marzo 2013. Approvata a Montecitorio, si era trasferita a Palazzo Madama il 25 settembre 2014. Poi tutto si era fermato per troppo tempo, fino alla vigilia dell’35esimo anniversario. Quando è stato il relatore al quale è stato assegnato il provvedimento, il senatore D’Ascola (Ap – Ncd) a illustrarlo. Sui tempi della futura calendarizzazione in Aula, però, non c’è certezza. Non è un caso che dal Pd anche il bolognese Sergio Lo Giudice spinga per una rapida approvazione.
Sotto le Due Torri arriveranno il 2 agosto il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, insieme alla seconda carica dello Stato, il presidente del Senato ed ex Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Sarà a loro che le famiglie delle vittime rilanceranno il loro appello. Perché in gioco c’è la credibilità delle stesse istituzioni.