Strategia della tensione: cos’è e come funziona

I TRATTI CARATTERISTICI – Dopo questo brevissimo excursus possiamo cominciare a tratteggiare le caratteristiche fondamentali dell’ipotesi di indagine chiamata “strategia della tensione”: nasce per reazione al Sessantotto e alle lotte operaie, all’allargamento a sinistra del governo e delle maggioranze parlamentari, coinvolge per lo più figure di assassini alla base e ufficiali di Stato al vertice. E’ importante notare che arriva in un’Italia che sta terminando il suo periodo di maggiore crescita economica e comincia a governare la maturità di un paese ormai diventato potenza industriale. Ed è certamente vero che coinvolge varia ed avariata fascisteria, in quella che sembra essere una vera e propria strategia “negativa”, ovvero, più che pronta al golpe, volta a impedire l’accesso dei socialisti prima e dei comunisti poi al governo.

La strategia della tensione e le predisposizioni ai tentativi golpisti sono stati il frutto dell’attuazione di indirizzi politici, strategico-militari e psicologici volti a ridurre nei paesi occidentali – e in particolare in Italia – l’influenza dei partiti comunisti e, in generale, dei partiti e dei movimenti di sinistra che non fossero rigidamente ancorati nel campo occidentale. Il dispositivo, che trovava la sua scaturigine all’interno dei settori atlantici più oltranzisti ed era in grado di condizionare e orientare le scelte dei governi nazionali – in questo caso dell’Italia – in tema di politiche di difesa e di sicurezza, prevedeva:
1) un complesso di reti clandestine composte di militari e civili di ampiezza ben superiore al livello ufficializzato di Gladio, non ancora conoscibili nel dettaglio – in particolare per quanto riguarda la loro riferibilità ad un unico centro di comando e controllo – nelle quali la finalità di controinsorgenza e più in generale anticomunista era divenuta prevalente sul compito originario di attivazione nella eventualità, sempre più improbabile, di una occupazione da est del territorio nazionale da parte di eserciti nemici;
2) gruppi clandestini di estrema destra che avevano come finalità quella di determinare una forte involuzione autoritaria delle istituzioni dello Stato. Questi gruppi, come emerge da molteplici e concordanti documenti e testimonianze, mantennero ininterrottamente un ambiguo rapporto di internità/esternità con il Msi-Dn, grazie anche alla connivenza con la dirigenza missina, come dimostrano, per tutti, i rapporti tra Almirante e Delle Chiaie e il comandante Borghese;
3) rapporti di contiguità e di connessione tra settori istituzionali dello Stato e gruppi della destra eversiva;
4) rapporti di contiguità tra gruppi di terroristi fascisti e apparati informativi riconducibili agli Stati Uniti d’America.

Ciò detto, c’è anche da notare che per ragionare attorno all’esistenza di una grande struttura servirebbero prove più consistenti rispetto alle riflessioni dal carcere di Vinciguerra e alle confessioni postume (rispetto al periodo in cui ricopriva ruoli di potere) di Gianadelio Maletti. Anche perché quelle parole vennero proferite mentre il colonnello compariva in veste di imputato e non in quelle di testimone nei processi in cui ha deciso di presenziare. Più che destabilizzanti, le stragi sono sembrate sempre stabilizzanti, ovvero funzioni del mantenimento dello status quo. E soprattutto: molti indizi, ma poche prove sono state fornite per il collegamento tra quanto facevano militari e civili e i loro capi politici, anche se è difficile sostenere la tesi di una totale misconoscenza di quanto accadeva: il caso Giannettini e quelli di Gladio, entrambi con protagonista Andreotti, sono sintomatici di una connivenza e simpatia difficilmente falsificabili. C’è anche da dire che in molti casi si è ipotizzata una connivenza tra le Brigate Rosse e i settori dell’intelligence americana: tutte ipotesi che sono rimaste senza verifica o con verifica negativa.

STRATEGIA DELLA TENSIONE OGGI? – Lontane sembrano invece le analogie con la situazione odierna. Oggi, a prescindere da Guy Fawkes, l’Italia, l’Europa e il mondo si trovano a fronteggiare la crisi economica più grave da due secoli a questa parte. Non ci sono spinte di rinnovamento sociale così forti e che raccolgono intorno a sé un grande consenso come fu la stagione degli anni Sessanta e Settanta. Non c’è più un pericolo rosso all’orizzonte, e nemmeno un pericolo nero dietro l’angolo. Persino il “riformatore” (così si era presentato) Monti, alla fine, è a capo di un governicchio che, come i precedenti, s’è dovuto piegare ai taxi (e figuriamoci come potrebbe osteggiare le altre lobby). La svolta autoritaria, sebbene richiamata da un sacco di manifestini condivisi su Facebook, non sembra sia stata evocata da nessuna forza politica. L’attentato di Brindisi è stata invece utilizzata da Beppe Grillo proprio per paventare il rischio di una svolta autoritaria per fermare il suo MoVimento 5 Stelle. Vedremo nel futuro se esiste davvero un parallelo tra i due casi, e soprattutto se davvero si può collegare quanto accaduto a Brindisi all’eversione politica e alla mafia. In attesa, c’è da ricordare che tanta pubblicistica, con lavori di indagine ha guadagnato dall’agitare il fantasma della strategia della tensione. Facendolo diventare anche strumento di campagna elettorale e lotta politica. Con l’uscita di Beppe Grillo la storia si ripete.

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