Ted Kennedy non era Berlusconi
28/08/2009 di Mauro Senzaterra
Ieri se ne andato l’ultimo dei tre fratelli della dinastia più amata e odiata d’America. Con il “Liberal Lion” si chiude l’epoca del sogno americano tutto riforme, diritti civili e sgargianti fanciulle dai costumi poco castigati. Alle quali è andata molto peggio che da noi.
«Abbiamo perso il centro insostituibile della nostra famiglia e della luce gioiosa della nostra vita, ma l’ispirazione della sua fede, ottimismo e perseveranza vivrà nei nostri cuori per sempre» . La famiglia Kennedy celebra l’ascesa al cielo dell’ennesimo santo del clan strappando lacrime di commozione perfino al Presidente Obama che, travolto dall’emozione, dimentica di trovarsi in vacanza dalle parti di Chappaquiddick e si lascia andare ad una affermazione che – non fosse l’eroe del nuovo millennio – sarebbe stata definita una gaffe strabiliante: «Un personaggio unico i cui ideali hanno lasciato un segno nella vita di innumerevoli persone». Segni che a qualcuno hanno fatto male, e parecchio.
VIZI DI FAMIGLIA – Dei Kennedy tutti sanno tutto dal momento che, più che una famiglia vocata alla politica, si tratta di un clan allargato specializzato nella produzione a getto continuo di martiri e di leggende. Da John Fitzgerald, assassinato a Dallas da un improbabile Lee Harvey Oswald, a Bob, morto ammazzato pure a lui, ma a Los Angeles e per mano di un giordano palestinese. Famiglia unita, o quasi, e abile nel guadagnarsi il consenso della piazza usando a dovere i media che fecero sempre e volentieri da araldi di Camelot: erano belli, simpatici e parlavano ai cuori degli elettori di argomenti che nessuno, prima di loro, aveva avuto il fegato di affrontare in modo diretto. Welfare, diritti civili, discriminazione razziale sono stati anche i cavalli di battaglia di Edward, ma sempre cavalcati con prudenza per non permettere al destriero di disarcionare il fantino. Spesso disponibile alle collaborazioni trasversali, collaborò perfino con il perfido George W. Bush alla riforma della scuola. Ma alla presidenza, nonostante sia stato uno dei pochi della famiglia ad aver avuto in sorte una vita piuttosto lunga, non ci arrivò mai. Colpa di Jimmy Carter che lo distrusse nel 1980, ma soprattutto di una femmina, Mary Jo Kopechne che, nel 1969 e a causa sua, ci rimise le penne.
DONNE, DU DU DU – Anche in tema di rapporti con il gentil sesso i maschietti della famiglia Kennedy furono uniti da una singolare condivisione di appetiti e di sfortunati destini toccati alle loro concubine più o meno ufficiali. Scandaletti, voci, rumors accompagnarono la carriera di tutti quanti, ma nessuno osò mai rinfacciare ai Cavalieri della Tavola Rotonda certe larghe concessioni al modello dell’irreprensibile padre di famiglia che ognuno di loro aveva rivendicato per sé. Non i loro sostenitori, naturalmente, ma nemmeno i loro nemici. Eppure, tra le prede eccellenti si poteva contare niente meno che Marilyn Monroe, mica Noemi Letizia. Chi pagò il prezzo più alto fu proprio il patriarca del Massachussets le cui ambizioni politiche furono compromesse per sempre dalla scandalosa vicenda dell’incidente di Chappaquiddick nel quale perse la vita una ragazza che, all’epoca, faceva parte del suo staff. Per la morte di Mary Jo Kopechne Ted Kennedy si beccò due mesi con pena sospesa per omissione di soccorso, ma la vicenda ha molti risvolti che sono ancora oscuri e i sospetti che le cose non andarono proprio come il senatore raccontò al processo sono ancora forti. Il senatore negò sempre di aver avuto relazioni inconfessabili con la sua collaboratrice, ma molte delle circostanze dell’incidente non furono mai chiarite. Chi voglia farsene un’idea, può leggersi i file contenuti negli archivi del FBI sulle dimostrazioni di spergiuro contestate a Kennedy. Sono fatti, comunque, che il cadavere della ragazza venne ripescato coi pantaloni, ma senza mutandine, che non fu mai richiesta l’autopsia e che le macchie ritrovate sulla blusa di Mary Jo e frettolosamente definite di sangue potrebbero essere di erba. Aggiungiamoci che l’incidente si disse che avvenne alle 23,30, ma che lo sceriffo del luogo vide una Oldsmobile uguale alla sua e con alcuni numeri di targa che coincidevano a mezzanotte e quarantacinque nei pressi di una stradina vicino al cimitero. Dulcis in fundo, il leone liberal ritenne opportuno informare dell’incidente le autorità solo il mattino seguente: secondo quanto afferma John Farrar, il sub che ripescò la ragazza, la poveretta morì soffocata (e non annegata) circa una mezz’ora dopo l’incidente. Se l’uomo i cui ideali eccetera eccetera avesse dato l’allarme per tempo, probabilmente Mary Jo non sarebbe morta.
ETICHE A CONFRONTO – Ora, considerando che tra una collaboratrice morta in circostanze a dir poco sospette e una cavalcata con una escort c’è una certa differenza, ci si sarebbe aspettati un poco di pudore nel celebrare i meriti di un personaggio che ha avuto sulla coscienza un fatto di questa gravità. Invece, niente! Certo, qualcuno ricorda la vicenda, ma giusto per declassarla ad incidente di percorso che compromise le giuste ambizioni di un tale statista. Sul Corriere dei Piccoli si legge addirittura che: “Fu un parlamentare eroico, spesso bipartisan […] il massimo legislatore dell’ultimo mezzo secolo. Il «ciò che non è stato e che poteva essere» del suo discorso del ’68 è il suo epitaffio: Ted non è stato ma poteva essere un grande presidente.” Eppure, per qualche notte brava consumata nel giardino del peccato di Villa Certosa, di Berlusconi si è scritto a fiumi di inadeguatezza al ruolo, di obbligo morale superiore vista la carica, di oltraggio ai valori. Sarà anche che Berlusconi non è Ted Kennedy, ma viene il sospetto che, almeno per alcuni, in fondo sia meglio così. Di sicuro lo è per Patrizia D’Addario e per Noemi Letizia. A parità di sempiterna fama, è preferibile riempire le pagine della cronaca rosa per una notte trascorsa col brutto anatroccolo nostrano al posto della nera nella quale sono finite, molto spesso, le damigelle dei Cavalieri di Camelot.