The Dressmaker: al Torino Film Festival, la vendetta di Kate Winslet
21/11/2015 di Boris Sollazzo
THE DRESSMAKER –
Uno dei grandi pregi del Torino Film Festival è un’idea tanto semplice quanto potente: il cinema (e soprattutto un festival) non è una questione di anteprime mondiali, ma di programmi coerenti, film di alto livello, viaggi e esplorazioni nei generi e negli stili, l’amore per gli autori grande quanto quello per gli attori. E così, accanto ai film che qui vedono la luce per la prima volta, trovi una serie di gioielli che hanno già fatto una tappa altrove ma che qui, in questa rassegna così complessa, varia e dinamica, trovano la loro casa. E The Dressmaker, che già era passato a Toronto, con la sua Kate Winslet mattatrice, è qui che trova il suo pubblico. Qui si fa apprezzare. In attesa dell’uscita nelle sale italiane, il 28 aprile.
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THE DRESSMAKER, LA STORIA –
Myrtle è una donna bellissima. Tilly era una bambina sola ed emarginata. Myrtle è una stilista impareggiabile che ha conquistato Balenciaga ma che vuole tornare a dimostrare di essere qualcuno nella minuscola Dungatar, nell’Australia più rurale e rozza, in cui chi non è conformista, è pazzo. Tilly aveva i capelli sporchi e lo sguardo triste. Tilly era piena d’amore ma un’accusa di omicidio l’ha convita di essere maledetta e quel sentimento è quasi morto in lei, alimentando l’odio di una cittadina meschina e con troppi segreti. Myrtle è tornata per vendicarsi. Per pentirsi di volersi vendicare. E poi rimpiangere di essersi pentita. E poi. E poi. E poi.
THE DRESSMAKER, LA RECENSIONE –
The Dressmaker è come la creatività sartoriale di Myrtle, detta Tilly: inquieto, sensuale, aggressivo, pieno di personalità, unico. Un film che non ha la pretesa di essere perfetto, ma di essere come uno dei suoi vestiti: bello, emozionante e audace. Una regia che non ha paura di un taglio di sbieco, anzi è proprio quello che le riesce meglio.
E allora all’opera di Jocelyn Moorhouse, di nuovo sul grande schermo dopo quasi 25 anni da Istantanee, un cult, e che qui si diverte con una sarta che usa la sua macchina da cucire come una pistola, una dolce e colorata cowgirl con spilli e alta moda al posto di pallottole e cappello, in continuo duello con la vita. E con una sceneggiatura bizzarra, incredibile (nel senso letterale del termine), che a volte sfocia nel noir grottesco, in altre situazioni si ispira ai darwin award, per poi dirci molto su sentimenti come l’invidia per chi ha talento e ancor più per chi è libero. E la maledizione non è di chi sa troppo amare e perde, ma di chi odia così pervicacemente e sistematicamente da inquinare tutto e tutti. Credendo di vincere, ma bruciando tutto ciò che è attorno a lui.
Non c’è ragione per non amare questo film, anche se è esagerato, rocambolesco e naif. Anzi, va adorato per questo. E per una Winslet eccellente – si cuce addosso Tilly su misura – che trova un cast in stato di grazia e ben caratterizzato. Dalla madre Judy Davis, bisbetica indomabile, all’agente Smith di Matrix, Hugo Weaving, che qui ti regala il ruolo e la performance che non ti aspetti, soprattutto da lui. E persino Liam Hemsworth sembra espressivo. Perché se azzecchi il vestito e il portamento, in fondo, tutti possiamo essere belli. E vale anche al cinema, vale anche per i lungometraggi che gettano il cuore e il tailleur oltre l’ostacolo.