Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni: storia di due ragazzi italiani nel carcere in India
03/02/2014 di Stefania Carboni
Tomaso ed Elisabetta sono liberi: leggi l’aggiornamento
C’è una altra storia che non riguarda i marò ma su cui si deve ancora esprimere la Corte Suprema dell’India. Si tratta della storia di Tomaso Bruno ed Elisabetta Boncompagni due ragazzi detenuti in India da ben 4 anni con una condanna all’ergastolo per la morte del loro compagno di viaggio e amico Francesco Montis. Del caso ne parlammo un anno fa, ma gli sviluppi non sono positivi. Dopo l’appello (respinto) si aspetta ora l’ultima decisione che viene rinviata di mese in mese. L’ultima udienza era fissata per questo 28 gennaio ma, come comunica la mamma del ragazzo, è slittata ancora.
IL CASO – Nel febbraio del 2010 Tomaso Bruno, 29 anni, di Albenga (SV), ed Elisabetta Boncompagni, 38 anni, di Torino, sono in vacanza in India in compagnia dell’amico Francesco Montis, 30 anni, di Terralba (OR). Un viaggio per tutti e tre dopo un lungo periodo di lavoro a Londra, dove si sono conosciuti. I giorni scorrono tranquilli ma il 4 febbraio Francesco si sente male. Soffre spesso di salute. La madre del ragazzo racconterà poi alle autorità indiane di problemi per un’ernia al disco e una brutta tosse perenne provocata dal fumo. I tre alloggiavano nella stanza 459 del Hotel Buddha a Varanasi. Dormivano nella stessa stanza. La mattina del 4 però Tomaso ed Elisabetta, stando a quanto riportato dalla difesa, si allontanano dalla stanza lasciando Francesco solo. Il ragazzo non si sentiva molto bene. Tornando i due trovano il ragazzo in condizioni gravi. Chiamano i soccorsi all’immediato in hotel, contattando anche l’ambasciata italiana. Si decide di portare il ragazzo di corsa in ospedale grazie all’aiuto dello staff dell’hotel. Francesco però morirà dopo poche ore. Secondo quanto si esprime nelle sentenze i medici dichiareranno il decesso all’arrivo del ragazzo nel nosocomio indiano. L’esame autopico sul corpo del giovane Francesco viene effettuato da un medico specializzato in oculista. Come documenterà un servizio de Le Iene nel referto si parla di morsi di animali presenti sul corpo, presumendo roditori, segno delle pessime condizioni dell’obitorio indiano. Non solo, nel report dell’autopsia si parla di ematoma subaracnoideo, oltre a segni di contusione e trachea contusa che l’accusa riterrà come prove schiaccianti per definire il caso come omicidio.
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(fonte Facebook Tomaso Libero)
STRANGOLAMENTO – Causa di morte? Nel reperto è espressa così: “Asphyxia as a result of strangulation“. Tesi confermata anche da una seconda analisi effettuata dal dottor R.K. Pradhan che parla di ferite ante-mortem. Qui sotto il report del secondo test che riporta le due contusioni sul collo che, secondo l’accusa, possono portare alla tesi dello strangolamento:
Ed internamente…
Nessuna anomalia è stata rilevata in pareti vertebrali, costole e cartilagini. L’apertura del cuoio capelluto era normale, membrane di cervello congestionate. Il cervello era in stato di decomposizione e nella zona subaracnoidea è stato trovato un ematoma. Pleura congestionate, laringe normale. Trachea contusa. Braonchi normali. Entrambi i polmoni erano in fase di decomposizione. Le membrane del cuore erano congestionate. Entrambe le camere erano vuote. Pressione del sangue era normale. Pericardio era congestionato. I denti sono stati trovati nella cavità boccale e nessuna anormalità è stata rilevata.
Il report post mortem come riporta la Corte di Allahabad è uguale ai due ante-mortem. Nonostante i dubbi sollevati in Italia sulla professionalità del medico legale i due ragazzi sono stati condannati già al secondo grado: sempre ergastolo.
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QUELLA MALEDETTA SERA – «Nella notte del 3 febbraio 2010 – spiega il documento – hanno ordinato due piatti di riso fritto da consumare nella loro camera e hanno cenato insieme. Nella mattinata del giorno successivo cioè il 4 febbraio 2010, i turisti (definiti nel doc “superstiti” si svegliarono, scoprendo che il loro amico Francesco Montis era disteso sul letto in stato di incoscienza. Allora Elisabetta ha informato il personale dell’hotel: «Il mio amico è molto grave». Francesco Montis è stato dichiarato morto all’arrivo in ospedale. Successivamente la polizia ha bloccato la stanza n. 459 spostando i due nella stanza n. 355. Elisabetta ha anche dichiarato che viveva a Londra con il defunto e che Tomaso Bruno spesso li veniva a trovare. La sua amicizia con il defunto Fracesco Montis durava da tre anni». E poi, sempre nel report…
«Essi non hanno inibizioni nel dormire a letto insieme. Elisabetta non conosceva nessun diverbio tra Tomaso Bruno e Francesco Montis. Ha chiarito che le tracce che si trovano sulla copertina, il lenzuolo e cuscino non erano suoi. I due hanno evitato di rispondere sulla causa e le modalità della morte del defunto».
AMORE E COCA?– Ed è proprio sul dormire insieme che si basa gran parte del movente dell’accusa. Tutta basata sulla relazione dichiarata tra Eli e Francesco, che stavano insieme. Secondo l’accusa (che avrebbe sentito 13 testimoni) Tomaso ed Elisabetta hanno ucciso Francesco perché innamorati compiendo quindi un delitto “passionale”. Peccato che però non ci sia traccia riscontrabile nel report della loro relazione clandestina. E qui le cose si complicano. In una intervista rilasciata a Le Iene i due affermano di aver consumato in quella notte un grammo di coca. Ma droga e valori non risultano nelle sentenze sui due italiani. Su Libero il padre di Tomaso ha dichiarato:
Domanda scomoda, ma inevitabile. I ragazzi facevano uso di droga?
«Guardi, al processo non si è mai parlato di sostanze stupefacenti, negli atti non c’è nulla del genere. È stato accennato qualcosa solo dalle “Iene” dopo un intervista a Tomaso ed Elisabetta. E i nostri rapporti con la famiglia di Francesco, da quel momento, si sono interrotti».
LA FAMIGLIA DELLA VITTIMA – Già la famiglia della vittima, che è successo nel mentre? La mamma di Francesco Montis smentì in una intervista ad Ansala tesi dell’accusa. E poi? Poi è calato il buio stampa:
“Non abbiamo mai creduto all’omicidio, per noi nostro figlio é morto per cause naturali”. Sono queste le parole di Anna Rita Concas, la mamma di Francesco Montis, il ragazzo morto in India il 4 febbraio scorso, e della sorella del giovane, Stefania. Parole che quindi respingono la tesi degli inquirenti indiani che hanno classificato la morte di Montis come omicidio, reato per il quale hanno arrestato i suoi due compagni di viaggio, Tomaso Bruno (nella foto), 27 anni di Albenga, ed Elisabetta Boncompagni, di 36, torinese.
MANCANZE E FILMATO SCHIACCIANTE – Come riferisce l’accusa in appello ci sono alcune mancanze nella costruzione dell’intero impianto processuale. Ci si basa sul parere rilasciato accompagnato da alcune domande. I ricorrenti imputati sono stati condannati al carcere a vita con la multa “di Rs .25.000 /ciascuno”. L’allora legale Sri Gopal Chaturvedi ha però sollevato i seguenti motivi. «Dai rapporti post- mortem è stato stabilito che non vi erano lesioni superficiali solo sul lato del collo. Anche se la trachea è contusa lo stesso elemento non può portare alla conclusione che il defunto sia morto a causa di strangolamento». E poi: «La dichiarazione del Direttore della struttura PW-1: Ram Singh indica come nessuno sia entrato nella stanza n. 459 tra le 04:00 e 08:00 del mattino del 4 Febbraio 2010 (ora di presunta assenza in loco dei due ragazzi ndr), non era una prova diretta, in quanto si basava su quello che aveva visto sul monitor collegato a CC T.V. ». Ebbene sì, c’è un filmato ripreso dalle videocamere a circuito chiuso come indicato nel report della corte indiana. «La C.C.T.V. aveva registrato tutto ciò che era accaduto tra le 04:00 e 08:00 del mattino del 4 Febbraio 2010. Il filmato della C.C.T.V. era disponibile ma l’accusa volutamente non ha prodotto il filmato del periodo e la data in questione. L’accusa era consapevole che se il filmato del CCTV fosse stato risprodotto, avrebbe stabilito che ricorrenti avevano effettivamente lasciato la camera alle 04:00 in mattinata ed erano tornati solo alle 08:00 del 4 febbraio 2010. Questo avrebbe demolito l’intero caso, istituito con l’accusa». Questo pezzo di prova, spiega il documento, avrebbe anche potuto dimostrare il contrario o comprovare la tesi dell’accusa. Non solo, a dimostrazione delle dichiarazioni contrastanti, la difesa ha ricostruito un grafico che riporta cosa non coincide dopo le varie udienze dei teste. «Gli accusati – spiega la difesa – hanno portato il defunto in stato di incoscienza all’ospedale in auto. Avevano lasciato l’albergo nelle prime ore del 4 febbraio 2010 per godersi la famosa alba a Benares. Al ritorno hanno trovato Francesco Montis in gravi condizioni. Non sanno se qualcuno è entrato nella stanza». Nel report si riporta come nell’hotel non ci siano state altre registrazioni per quella sera. «Francesco Montis – sostiene la difesa – non li aveva accompagnati la mattina del 4 Febbraio 2010 perché diceva che non stava bene. È stato specificamente affermato che non sanno nulla circa le lesioni interne del defunto, ma le lesioni esterne potrebbero essere state causate al defunto, mentre veniva spostato all’ospedale, dato che era robusto e pesante. Il secondo post – mortem non è mai stato condotto e la seconda relazione post- mortem è una narrazione integrale dei contenuti del primo post – mortem. Le loro dichiarazioni registrate dal funzionario incaricato delle indagini sono state definite. Una falsa cappa è stata creata contro di loro. I ricorrenti accusati hanno anche depositato dichiarazione scritta al fine di elaborare la versione della difesa».
L’APPELLO RESPINTO – Ecco come si è espressa l’alta corte di Allahabad che ha respinto il ricorso in appello presentato dagli avvocati del ventinovenne albenganese e dell’amica torinese.
Possiamo ribadire la dichiarazione dei testimoni dell’accusa , PW1 , PW 12 e P.W. 13, per quanto riguarda il materiale. Ovvero che non vi sia nulla nel repertorio delle videocamere a circuito chiuso, e il tutto è stato depositato in presenza dell’imputato e del loro legale. Non solo sulla C.C. TV, non essendo ancora stata prodotta come prova dall’accusa, non è stata fatta alcuna domanda ai sensi della Sezione 233 (3) Cr.PC.
In sostanza la prova poteva esser usata per contraddire la testimonianza dei testimoni PW 1 , P.W. 12 e P.W. 13, ma dalla corte indiana si specifica come nelle dichiarazioni dei due non ci sia stata menzione alcuna sul caso per potersi appellare alle videocamere come possibile difesa. La corte di Allahabad poi continua nel sostenere che la testimonianza del direttore dell’hotel è comunque da tenere in rilevo anche se si basa sulla visione via monitor. E poi punta al grafico: «Le discrepanze, che sono state segnalate, non sono in relazione al periodo di riferimento, vale a dire il periodo compreso tra le 04:00 e 08:00 del mattino del 4 Febbraio 2010 . Le discrepanze sembrano banali e non basate su questioni materiali. Le prove ci portano a una sola conclusione nei fatti del caso di specie, vale a dire, che il defunto è stato ucciso dai ricorrenti». Perché? Per la trachea contusa: «Anche in caso contrario, non è necessario che questa Corte entri nella necessità della contraddizione come ha sottolineato in particolare, in vista della dichiarazione dei ricorrenti, ovvero che la trachea non può essere contusa a meno di una applicata pressione fisica dall’esterno. Ci sono prove mediche che stabiliscono clinicamente che la morte di Montis era un omicidio». C’è un però: «I vari collegamenti delle prove circostanziali sono completi. Le circostanze sono conformi solo con l’ipotesi di colpevolezza nella misura in cui esso non può essere spiegata in ogni altra ipotesi. La catena di prove, come stabilito dalla pubblica accusa, non lascia alcun motivo ragionevole se non la conclusione con ogni probabilità che l’atto è stato fatto dai ricorrenti-imputati». Ideale sarebbe stato poter effettuare una seconda autopsia ma il corpo di Francesco è stato cremato a Varnasi. Stando a fonti diplomatiche, riportate qualche anno fa su La Stampa, pochi giorni dopo il suo decesso è arrivata dall’Italia un’amica con una delega dei Montis per effettuare la cremazione e il rimpatrio dei resti. E ora? E ora si aspetta l’unico giudizio in grado di smentire o meno la pena inflitta ai due ragazzi. A difenderli ora c’è Mukul Rohatgi, lo stesso legale che segue ora il caso marò.