Torino Film Festival 2016 – Cose che verranno: la Terra vista dal cinema
16/11/2016 di Alessandro De Simone
TORINO FILM FESTIVAL 2016 RETROSPETTIVA
La seconda parte della retrospettiva sul futuro visto dal cinema cominciata l’anno scorso. Il Torino Film Festival 2016 racconta quindi altre pre-visioni che talvolta si sono rivelate giuste, altre no, ma sempre incredibilmente affascinanti. Un percorso ricchissimo, tra futuri distopici e passati incredibilmente presenti. Come sempre accade per le retrospettive del TFF, uno dei momenti più appassionanti del festival.
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LA JETÉE di Chris Marker (Francia, 1962, 35mm, 28’) In un futuro prossimo devastato dalla Terza guerra mondiale e contaminato dalle radiazioni, un uomo viene sottoposto a esperimenti dagli scienziati che cercano una via di uscita al disastro attraverso il tempo. “Foto-romanzo” teorico e dolente, nel quale i fotogrammi fissi sono accompagnati da una voce narrante, si aprono falle tra i diversi strati temporali e la memoria diventa la vita. Capolavoro che ha ispirato L’esercito delle 12 scimmie di Gilliam.
IL NUOVO MONDO di Jean-Luc Godard (Italia/Francia, 1962, 35mm, 30’) L’episodio godardiano di Ro.Go.Pa.G. (film collettivo di Rossellini, Godard, Pasolini e Gregoretti) descrive una città-simbolo qualunque (Parigi, in realtà) i cui abitanti, dopo il deflagrare di un’atomica, si ritrovano uguali a prima ma svuotati di sentimenti: voce narrante e riprese dal vero in puro stile Nouvelle Vague per questo apologo di quieta disperazione, con Jean-Marc Bory e Alexandra Stewart.
ANTICIPATION, OU L’AMOUR EN L’AN 2000 di Jean-Luc Godard (Francia/Germania/Italia, 1967, 35mm, 20’) Nel 2000 i sentimenti non esistono più e si è arrivati alla specializzazione integrale. Il passeggero 14 arriva in una stazione orbitale in debito di sesso e deve scegliere tra prestazioni di amore fisico (ma la ragazza non può parlargli) o amore sentimentale (questa invece può solo parlare). Piccolo film acido e romantico, con Anna Karina, Jacques Charrier e Marilù Tolo, virato in rosso, blu, verde, giallo, fino a riacquistare i colori sul sorriso della Karina.
IKARIE XB1 di Jindřich Polák (Repubblica Ceca, 1963, DCP, 81’) Tratto da La nube di Magellano di Stanislaw Lem e ambientato nel 2163, il film del ’63 cui sono debitori, tra gli altri, Kubrick, Lucas, Star Trek. Una missione spaziale è alla ricerca di vita aliena e, tra i tanti pericoli che affronta durante il viaggio, l’equipaggio si trova anche faccia a faccia con le tendenze e gli istinti autodistruttivi dell’umanità del XX secolo. Art direction futuristica, intelligenza e ironia per un’opera anticipatrice, in edizione integrale e restaurata.
MR. FREEDOM di William Klein (Evviva la libertà, Francia, 1969, 35mm, 95’) Un supereroe americano è inviato a Parigi dal capo della Freedom Inc. per combattere i “rossi”. Lo aiuta una femme fatale discinta, mentre un Mujik Man stalinista e un dragone gonfiabile maoista lo combattono. La folle satira diretta nel 1969 da Klein, fotografo americano espatriato in Francia, autore di Lontano dal Vietnam e di Eldridge Cleaver, mescola pop art, fumetto, trash ante litteram. Con Delphine Seyrig, Serge Gainsbourg, Philippe Noiret, Donald Pleasance.
GLEN AND RANDA di Jim McBride (USA, 1971, DCP, 93’) Alcuni decenni dopo una catastrofe nucleare, gli umani sono tornati a uno stato primitivo, vivono in comunità rurali e combattono per la sopravvivenza. Due ragazzi, Glen e Randa, decidono di andare in cerca della città che lui ha visto rappresentata su un albo di Wonder Woman. Diretto da Jim McBride prima del suo periodo hollywoodiano (Great Balls of Fire, The Big Easy), una curiosa favola morale influenzata da suggestioni hippies.
SLEEPER di Woody Allen (Il dormiglione, USA, 1973, 35mm, 89’) Verso la fine del XXIII secolo, negli Stati Uniti ormai trasformati in dittatura postatomica, viene ritrovato il corpo di un uomo, clarinettista jazz e proprietario di un negozio salutista, ibernato per sbaglio duecento anni prima. Risvegliato, l’uomo si finge robot e si unisce alla resistenza. Woody Allen rielabora l’immaginario della sci-fi politica degli anni ‘60 e ‘70 per dare libero sfogo alla sua comicità frenetica e anarcoide. Bananas, ma nel futuro.
A BOY AND HIS DOG di L.Q. Jones (Apocalypse 2024, USA, 1975, 35mm, 91’) Basato sul romanzo breve di Harlan Ellison Un ragazzo e il suo cane (1969), la storia di un adolescente e del suo cane telepatico, in lande post-apocalittiche dove sopravvivere è pericoloso. Diretto da un celebre caratterista del cinema e della tv americani (Pat Garrett e Billy the Kid, Casinò) e interpretato da un Don Johnson appena ventiseienne, un cult movie bizzarro, poco conosciuto e venerato da Quentin Tarantino.
ROLLERBALL di Norman Jewison (UK/USA, 1975, 35mm, 125’) Nel futuro corporativistico del 2018, il “rollerball” è uno sport violento in cui i giocatori sfogano la propria aggressività: ma uno di loro (James Caan) non ci sta, e si ribella. Fra i più noti racconti fanta-distopici del cinema americano, in perfetto equilibrio fra New Hollywood e genere, diretto con piglio classico dal regista di La calda notte dell’ispettore Tibbs e Stregata dalla luna. Rifatto sciaguratamente nel 2002 da John McTiernan.
THE STEPFORD WIVES di Bryan Forbes (La fabbrica delle mogli, USA, 1975, 35mm, 115’) Dimenticate il pessimo e accomodante remake del 2004 con Nicole Kidman: questa Stepford, sobborgo benestante del Connecticut, nel quale si trasferiscono da New York Joanna e Walter, è lucidata e inquietante, all’apparenza pacifica e sotto sotto spaventosa. Mogli come automi sexy e casalinghi, mariti sciovinisti e gretti in un idillio suburbano che si trasforma in un incubo. Dal romanzo di Ira Levin (l’autore di Rosemary’s Baby), con Katahrine Ross e Paula Prentiss.
DEMON SEED di Donald Cammell (Generazione Proteus, USA, 1977, 35mm, 94’) Alex, uno scienziato, ha progettato il supercomputer Proteus e ha computerizzato la propria casa. Quando Alex gli rifiuta un terminale libero per le sue ricerche, Proteus si fa strada in quello domestico e comincia a osservare Susan, la moglie dello scienziato. Angosciante futuro prossimo, chiuso in una casa servizievole e autonoma che diventa prigione, per la distopia diretta dal co-regista (con Roeg) di Performance. Non c’è da stupirsi che Proteus sia attratto da Susan: è la splendida Julie Christie.
LA MORT EN DIRECT di Bertrand Tavernier (La morte in diretta, Francia/Germania, 1980, DCP, 130’) In un futuro prossimo, una scrittrice soffre di una grave malattia che le lascia due mesi di vita e accetta che un’emittente tv filmi la sua agonia. Poi tenta la fuga, ma viene raggiunta da un cameraman che ha delle telecamere impiantate negli occhi. Tratto da un romanzo di David G. Compton e diretto da Tavernier nel 1980, un dramma che anticipa le tendenze più necrofile della televisione che verrà. Profetico e inquietante, con Romy Schneider e Harvey Keitel.
LE DERNIER COMBAT di Luc Besson (Francia, 1983, 35mm, 92’) In un futuro post-apocalittico, dove l’umanità ha perso l’uso della parola e vive in bande tra città abbandonate, tempeste di sabbia e macerie, si aggirano e si scontrano per la sopravvivenza L’Uomo (Pierre Jolivet), Il Bruto (Jean Reno), Il Capitano, Il Nano, Il Dottore. Potente esordio in bianco e nero e in cinemascope per Luc Besson, che prende spunto dal suo precedente cortometraggio L’Avant dernier e che dimostra già la sua grande forza visiva.
1984 di Michael Radford (UK, 1984, 35mm, 113’) Cupa e angosciosa trasposizione del romanzo di George Orwell, che già nel 1949 aveva previsto tutto, dall’invadenza del privato da parte di un Grande Fratello dominante alla censura dei sentimenti. Strepitoso John Hurt, ma è indimenticabile Richard Burton nella sua ultima interpretazione. Grande confezione, con le musiche degli Eurythmics e la fotografia dai colori desaturati di Roger Deakins. Bellissimo e ancora oggi sottovalutato.
ACCION MUTANTE di Álex de la Iglesia (Spagna/Francia, 1993, 35mm, 90’) Nella Spagna del futuro (il 2012), dominata dal mito della bellezza fisica, una banda di portatori di handicap compie attentati contro palestre, cliniche di chirurgia estetica, centri benessere. Il loro nuovo colpo è il rapimento di una giovane ereditiera, che viene trasportata sul pianeta minerario Asturias, dove dovrà avvenire il pagamento del riscatto. Barocco, grottesco, inventivo, il debutto nel lungometraggio di De la Iglesia, prodotto dai fratelli Almodóvar.
NIRVANA di Gabriele Salvatores (Italia/Francia/UK, 1997, 35mm, 113’) In una megalopoli futuribile: un programmatore in crisi, un virus nel suo videogame, il protagonista del gioco che acquista una coscienza e chiede di essere liberato. Vinto l’Oscar con Mediterraneo, Gabriele Salvatores spiazza tutti, osa e firma un film di fantascienza cyberpunk a cavallo tra Blade Runner, le storie di William Gibson e Philip Dick e i fumetti di Nathan Never. Un UFO, un film coraggioso e tuttora anomalo per il nostro cinema.
LAST NIGHT di Don McKellar (Canada/Francia, 1998, 35mm, 95’) Il 31 dicembre 1999, a Toronto, personaggi diversi vivono a modo loro l’ultima notte prima della fine del mondo, annunciata per mezzanotte: alcuni in famiglia, il protagonista deciso a restare solo sul suo terrazzo, il direttore della compagnia del gas a ringraziare i suoi clienti, molti a festeggiare nelle piazze. Segmento canadese del progetto Arte Il 2000 visto da…, con lo stesso Don McKellar, Sandra Oh e David Cronenberg, una storia scandita dalle ore, che alterna tensione e umanità.
BATORU ROWAIARU / BATTLE ROYALE di Kinji Fukasaku (Giappone, 2000, 35mm, 114’) In una società in profonda crisi economica, alcuni liceali vengono sorteggiati dal governo e mandati su un’isola a massacrarsi a vicenda. Celebre fanta-avventura adolescenziale che all’uscita in patria ha suscitato polemiche a non finire per la violenza e per la cupezza senza speranza: ma è diventato uno dei più grandi successi al botteghino giapponese di tutti i tempi. Fra gli interpreti, anche Takeshi Kitano.
ARTIFICIAL INTELLIGENCE: AI di Steven Spielberg (A.I. – Intelligenza artificiale, USA, 2001, DCP, 146’) In un mondo devastato dai cataclismi ambientali, alcuni scienziati costruiscono automi-bambini in grado di provare emozioni, mentre gli uomini sembrano sempre più incapaci di sentimenti. Tratto da un racconto di Brian Aldiss (Supertoys Last All Summer Long) e basato su una sceneggiatura incompiuta di Stanley Kubrick, una variante futuristica di Pinocchio, e uno dei film più cupi e personali di Spielberg, digressione esemplare sui labili confini tra umano e sintetico.