Trans-Pacific Partnership, adesso c’è il quadro completo

19/01/2014 di Mazzetta

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IL PROBLEMA A WASHINGTON – Il problema sta tutto nel fatto che il Congresso statunitense ha fornito la delega per questo genere di negoziati all’amministrazione al tempo di Bush, condizionando però ogni accordo internazionale alla presenza d’accordi per la protezione dell’ambiente che devono essere legalmente vincolanti. Proprio quelli che mancano nel TPP e che il negoziatore in capo per gli americani, un ex manager di Citigroup, dice che saranno quasi impossibili da strappare ai partner.

PER ORA NON PASSANO – Ancora una volta s’assiste quindi al naufragare di questi accordi sulla porta di un parlamento, perché è chiaro che se il TPP non può passare al Congresso, la sua valenza precipita nell’irrilevanza, visto che il senso dell’accordo sembra quello di aprire i mercati dei paesi meno sviluppati agli investimenti e ai commerci delle grandi aziende, per lo più  americane, e di fornire loro un quadro legislativo omogeneo e blindato dalle interferenze dei governi e dei parlamenti, che una volta ratificati gli accordi potranno solo conformarvisi. Un esito che per ora pare ben chiaro ai legislatori, compresi quelli americani, che finora hanno sistematicamente respinto questo genere d’accordi prodotti sottobanco e platealmente sbilanciati a protezione di pochi e ben individuabili interessi e altrettanto incuranti delle conseguenze negative, spesso immediatamente evidenti, che possono avere sulla vita di miliardi di persone. Per ora l’ipotesi che una decina di parlamenti possa ratificare un accordo del genere è del tutto da escludere, ma c’è da star sicuri che i loro promotori non desisteranno per questo, visto che da anni è chiaro che proprio questa è la strada preferita per portare l’assalto neoliberista alla sovranità dei parlamenti su scala globale.

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