Tutti gli sprechi dei comuni italiani
04/10/2014 di Redazione
Nel 2010 la Sose, una società per l’89% del Tesoro e per l’11 della Banca d’Italia, ha cominciato a raccogliere con l’aiuto dell’Ifel (il centro studi dell’Anci) una miriade di numeri su sei comparti dei bilanci comunali: burocrazia interna, polizia locale, istruzione pubblica, territorio e viabilità, ambiente e rifiuti e politiche sociali, compresi gli asili nido. I risultati ufficiali saranno messi a disposizione fra un mese. Piero Fassino, presidente dell’Anci, l’ha già detto: «I dati sono del 2010, mentre l’incidenza maggiore sulla spending review arriva dal triennio 2011-2013 segnato da drastici tagli: raccomando al governo di non prendere provvedimenti in base a quelle tabelle». C’è subito da dire però che questi dati vanno presi con le dovute precauzioni, visto che usare questi numeri per separare gli “spendaccioni” dai “risparmiosi”, senza tenere conto di quantità e qualità dei servizi offerti, potrebbe generare disastri, portando ad identificare tra i risparmiosi quelli che non offrono i servizi e tra gli spendaccioni quelli che invece i servizi li offrono. Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella del Corriere della Sera hanno analizzato i dati.
UMBRIA LA REGIONE “PEGGIORE” – A prima vista salt all’occhio la virtuosità dei Comuni calabresi, che spendono il 10,65% in meno del fabbisogno standard complessivo al quale avrebbero diritto. Cioè della somma che, tenendo conto di un mucchio di fattori più o meno penalizzanti (esempio: solo chi sta in montagna può capire il peso sociale, scolastico, economico di certe nevicate) viene indicata come necessaria perché tutti i cittadini siano sullo stesso piano. Per contro, la peggiore risulta essere, nonostante un livello dei servizi superiore, l’Umbria, dove i Comuni spendono il 9,71% più del fabbisogno calcolato. Dice tutto il confronto fra Perugia e Lamezia Terme. La prima è la città con oltre 70 mila abitanti che ha la peggiore performance in assoluto, con una spesa che nel 2010 ha superato del 31% il fabbisogno standard. La seconda batte tutti sul fronte opposto: nel 2010 ha speso il 41% in meno. Come mai? Stella Rizzo spiegano che “forse perché spendeva pochissimo per funzioni essenziali quali la riscossione dei tributi (35 mila euro contro un fabbisogno di 446 mila), gli asili nido (641 mila euro contro 930 mila) e il «sociale»: 2 milioni 522 mila contro 7 milioni 439 mila. Scelte imposte dal peso esorbitante di servizi burocratici come l’anagrafe, lo stato civile e il servizio elettorale: 1.162 mila contro un fabbisogno tre volte più basso, 468 mila. Il contrario di Perugia, più parsimoniosa nelle spese per la burocrazia ma assai più esposta sul fronte dell’ambiente (36,2 milioni contro i 6,2 stimati come fabbisogno standard), dello smaltimento dei rifiuti (31,7 milioni contro 22,5) e dei trasporti pubblici (25,3 milioni contro 4)”.
LE SPESE VANNO CONTESTUALIZZATE – La Sose piega che le regioni meridionali “da un lato risultano spendere più dello standard nel settore dei servizi generali di amministrazione e controllo e dall’altro spendere meno dello standard nel settore dei servizi sociali”. Casal di Principe risulta tra i municipi più virtuosi della Campania. Basta dire che la sua spesa 2010 era inferiore al fabbisogno standard del 41,6%. Ma se andiamo a vedere come spendeva quell’anno i denari pubblici, scopriamo che per gli uffici preposti a raccogliere le tasse comunali, c’erano briciole. Fabbisogno stimato da Sose: 113.242 euro. Euro impiegati: 167. Cioè 678 volte di meno. Per quanto riguarda l’ambiente, il fabbisogno stimato era di 445.949: ne spesero un quarto. I soldi servivano per la burocrazia municipale. Costosissima. C’ sempre da dire che le spese devono essere contestualizzate, ad esempio nel 2010 l’ente provinciale casertano spese il 35% in più del previsto investendo nel settore ambientale 57 milioni: cinque volte più del fabbisogno standard calcolato da Sose: 11 milioni 581.147 euro. Spreconi? Dipende da come sono stati investiti soldi. Ma che quella terra sventurata abbia bisogno di più quattrini per il risanamento di ogni ipotetica media nazionale è fuori discussione.
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LA POLIZIA LOCALE – Rizzo e Stella poi prendono ad Esempio Roma, Napoli e Milano e analizzano i costi della polizia locale. Il fabbisogno standard di Roma è fissato in 323 milioni: nel 2010 spese il 14,5% in più. All’opposto Milano, che sborsò per i vigili il 38,3% in meno ma anche Napoli, che «risparmiò» il 29%. Per quanto riguarda le multe i 5.998 vigili di Roma elevavano manualmente 929.442 contravvenzioni (154 a testa: tre a settimana), i 3.179 colleghi milanesi 1.178.780: 370 pro capite, più di una al giorno. Per non parlare delle 79.870 sanzioni di diverso genere fatte a Milano contro le 27.990 di Roma e le appena 963 di Napoli. O dei 255 arresti effettuati dai «ghisa» ambrosiani a fronte dei 110 dei «pizzardoni» capitolini e dei 64 dei «caschi bianchi» partenopei. Per quanto riguarda gli affitti il comune di Roma pagava nel 2010 per i locali occupati dalla polizia municipale canoni per tre milioni e mezzo contro i 30.017 euro di Milano: 117 volte di più. Per quanto riguarda i soldi investiti per la sicurezza, i dati sono lampanti: il Campidoglio ha investito 2,9 milioni di euro, mentre Palazzo Marino 6,4. Questo ha delle ripercussioni notevoli sul controllo del territorio. Basi pensare che la polizia locale di Milano per un territorio di 181 chilometri quadri, dispone di 1.359 telecamere. A Napoli i chilometri quadrati comunali sono 1.117, e i vigili hanno 100 telecamere. Il primato negativo però ce l’ha Roma: il Comune con la superficie più vasta d’Italia, 1.285 kmq, di telecamere ne ha solo 45. Cioè una ogni 48 chilometri.
(Photocredit: AFP/AFP/Getty Images