Ecco perché per Uber a Londra non è ancora detta l’ultima parola
22/09/2017 di Gianmichele Laino
La notizia di oggi è la sospensione del servizio Uber a Londra. L’autorità che regola i trasporti, infatti, ha rilevato come l’applicazione che si occupa di mobilità non abbia i requisiti necessari per presentarsi come operatore privato. Ma gli utenti del servizio d’oltremanica non dovranno affatto disinstallare l’app dai loro smartphone. La vicenda, infatti, è tutt’altro che conclusa. Innanzitutto, la società ha 21 giorni di tempo per presentare ricorso contro il provvedimento dell’autorità londinese che regola i trasporti. E nel frattempo, il servizio resta attivo.
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UBER LONDRA, TUTTE LE SOSPENSIONI PER LA APP
Del resto, le sospensioni per Uber sono all’ordine del giorno e fino a questo momento – tranne in alcuni casi specifici – non sono mai arrivate a determinare la cessazione completa del servizio. Certo, in Italia c’è il precedente Uber Pop (la versione della app che utilizza tassisti non professionisti) che, sospesa nel 2014, è ancora vietato. Ma c’è stato anche il caso di Uber Black (la versione della app che, invece, assomiglia di più a un classico noleggio con conducente) che ha dovuto subire effettivamente una sospensione (aprile 2017), salvo poi tornare in pista dopo il ricorso presentato dalla società.
UBER LONDRA, L’APP RITORNA SEMPRE IN PISTA
Poi ci sono i casi clamorosi delle proteste di Parigi, nel 2015, quando una automobile del servizio Uber fu bruciata dai tassisti in rivolta all’aeroporto Charles de Gaulle. Anche in quella circostanza si pensò di bloccare il servizio che, di fatto – anche grazie a un espediente ai limiti della legalità -, continuò.
Uber è tornata operativa a Madrid nel marzo 2016, dopo un divieto di circolazione di un anno e mezzo predisposto dall’autorità dei trasporti spagnola; una vicenda simile si è verificata in Germania, dove sono tantissime le città in cui Uber è diffuso in una versione leggermente corretta rispetto a Uber Pop (che, nel frattempo, ha presentato ricorso alla Commissione Europea). Infine, c’è il paradiso degli Stati Uniti, dove l’applicazione non ha mai subito particolari restrizioni.
Insomma, come direbbe Giovanni Trapattoni, «non dire gatto se non ce l’hai nel sacco». E, dal punto di vista legale, Uber sembra davvero simile a un felino: l’applicazione – nonostante tutti vogliano ucciderla – non muore mai perché, nei tribunali, ha almeno sette vite.