Unioni civili, prime aperture della Chiesa? Kasper: “Il bene va riconosciuto”
27/05/2015 di Tommaso Caldarelli
Unioni civili,
prime aperture dalla Chiesa Cattolica? All’indomani del referendum irlandese in cui i cittadini hanno a larghissima maggioranza approvato l’introduzione del matrimonio tra esponenti dello stesso sesso in un paese in cui fino a pochi anni fa l’omosessualità era addirittura reato, le gerarchie ecclesiastiche riflettono apertamente sullo stato del magistero della famiglia che, a loro dire, ha subito dei colpi, o comunque non riesce più ad essere comunicato efficacemente, tanto che anche in Italia si discute apertamente di una legge per la regolamentazione delle unioni civili che potrebbe essere votata dal Parlamento entro il prossimo autunno.
UNIONI CIVILI, KASPER: “DOBBIAMO GUARDARE IN FACCIA LA REALTA'”-
I toni del cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato Vaticano, sono stati durissimi: “Il referendum irlandese è una sconfitta per l’umanità”; ma è un fatto che la Chiesa inizi ad interrogarsi profondamente su quanto avvenuto. Sul Corriere della Sera ad essere intervistato da Gian Guido Vecchi è il cardinale Walter Kasper, autore di “Misericordia”, uno dei libri preferiti dal Papa, a cui Francesco ha affidato la relazione di apertura del Sinodo straordinario sulla Famiglia e che viene identificato come capofila del fronte dialogante e riformista nel consesso cardinalizio.
Io penso che il referendum irlandese sia emblematico della situazione nella quale ci troviamo, non soltanto in Europa ma in tutto l’Occidente. Guardare in faccia la realtà significa riconoscere che la concezione postmoderna, per la quale è tutto uguale, sta in contrasto con la dottrina della Chiesa. Non possiamo accettare l’equiparazione col matrimonio. Ma è una realtà anche il fatto che nella Chiesa irlandese molti fedeli abbiano votato a favore, e ho l’impressione che negli altri Paesi europei il clima sia simile».
E quindi, che farà la Chiesa?
«Si è taciuto troppo, su questi temi. Adesso è il momento di discuterne».
Al Sinodo di ottobre?
«Certo. Se il prossimo Sinodo vuole parlare della famiglia secondo la concezione cristiana, deve dire qualcosa, rispondere a questa sfida. L’ultima volta la questione è rimasta marginale ma ora diventa centrale. Io non posso immaginare un cambiamento fondamentale nella posizione della Chiesa. È chiara la Genesi, è chiaro il Vangelo. Ma le formule tradizionali con le quali abbiamo cercato di spiegare, evidentemente, non raggiungono più la mente e il cuore della gente. Ora non si tratta di fare le barricate. Dobbiamo piuttosto trovare un nuovo linguaggio per dire i fondamenti dell’antropologia, l’uomo e la donna, l’amore…Un linguaggio che sia comprensibile, soprattutto ai giovani».
Sugli omosessuali i toni sono obiettivamente nuovi.
In che senso?
«Non è più il tempo in cui la posizione della Chiesa su questi temi era più o meno supportata dalla comunità civile. Negli ultimi decenni la Chiesa si è sforzata di dire che la sessualità è una cosa buona, abbiamo voluto evitare un linguaggio negativo che in passato aveva prevalso. Ma ora dobbiamo parlare anche di che cosa sia la sessualità, della pari dignità e insieme della diversità di uomo e donna nell’ordine della creazione, della concezione dell’essere umano…».
A proposito di linguaggio, i documenti della Chiesa sull’omosessualità usano espressioni come «inclinazione oggettivamente disordinata…».
«Bisognerà fare attenzione a non usare espressioni che possano suonare offensive, senza peraltro dissimulare la verità. Dobbiamo superare la discriminazione che ha una lunga tradizione nella nostra cultura. Del resto è il catechismo a dire che non dobbiamo discriminare. Le persone omosessuali devono essere accolte, hanno un posto nella vita della Chiesa, appartengono alla Chiesa…».
E le coppie omosessuali? La Chiesa non può riconoscere anche a loro quell’idea di «bene possibile» di cui si parlava a proposito di divorziati risposati e nuove unioni ?
«Se c’è una unione stabile, degli elementi di bene esistono senz’altro, li dobbiamo riconoscere. Però non possiamo equiparare, questo no. La famiglia formata da uomo e donna e aperta alla procreazione è la cellula fondamentale della società, la sorgente di vita per il futuro. Non è un problema interecclesiale, riguarda tutti, si devono valutare con la ragione e il buon senso conseguenze enormi per la società: pensi alle adozioni, al bene dei bambini, a pratiche come la maternità surrogata, alle donne che tengono un bambino per nove mesi sotto il loro cuore e magari vengono sfruttate perché povere, per qualche soldo. Non bisogna discriminare ma nemmeno essere ingenui».
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ANGELO BAGNASCO: “FAMILY DAY? I LAICI VALUTANO VOLTA PER VOLTA IL LORO CONTRIBUTO”-
Anche il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, parla intervistato da Paolo Rodari su Repubblica; i suoi toni sono nettamente più duri di quelli di Kasper, sopratutto quando sostiene che la proposta di legge Cirinnà sul riconoscimento delle unioni civili è “eccessivamente schiacciata su una disciplina di stampo para-matrimoniale: al di là dei nominalismi, di fatto equipara la condizione giuridica delle unioni omosessuali a quelle della famiglia fondata sull’unione tra un uomo e una donna”. Ma quando Rodari gli chiede se oggi sarebbe possibile una riproposizione del Family Day del 2007, Bagnasco sostanzialmente glissa.
Eviterei una lettura riduttiva della manifestazione del 2007, che non era anzitutto contro qualcuno o qualcosa, ma intendeva affermare la visione di matrimonio e di famiglia sancita dalla nostra Costituzione. È stata una manifestazione corale di partecipazione laicale che, in una società effettivamente pluralista, costituisce già in sé un valore da salvaguardare. Naturalmente, le forme con cui i laici assicurano il loro contributo devono essere valutate di volta in volta, alla luce del contesto sociale, culturale e politico
La prospettiva è quella dell’autocritica, concorda Bagnasco: “Quando monsignor Martin afferma che ciò che è accaduto non è soltanto l’esito di una campagna referendaria, fotografa una rivoluzione culturale che riguarda tutti. Come tale, non può non interrogare anche la nostra Chiesa: cosa dobbiamo correggere e migliorare nel dialogo con la cultura occidentale?”