Uscire dall’euro: chi ha ragione?
11/02/2014 di John B
L’opinione di John B.
La tentazione di legare in un rapporto causa – effetto gli accadimenti che si susseguono in una sequenza temporale ristretta è molto forte ma spesso conduce a madornali errori. Facciamo un esempio banale: se un extra-terrestre osservasse la nostra vita quotidiana dall’alto, vedrebbe che in tutti i luoghi dove si è verificato un omicidio c’è la Polizia Scientifica.
PROVE – In assenza di altre indicazioni potrebbe ragionevolmente concludere che la Polizia Scientifica è responsabile degli omicidi. La conclusione sarebbe sbagliata, tuttavia è vero che c’è un nesso causale tra un omicidio e l’intervento della Polizia Scientifica, giacché quando si verifica il primo, viene chiamata la seconda. Dopo l’introduzione dell’Euro, gli italiani hanno subito un progressivo peggioramento della situazione economica fino all’attuale quadro di crisi. C’è un nesso causale? L’Euro è responsabile della crisi? E’ possibile tornare alla Lira? Conviene farlo? Proviamo a rispondere a queste domande. Innanzitutto dobbiamo considerare che da decenni l’Italia ha un grosso problema che si chiama Spesa Pubblica e che nel nostro Paese questa è sinonimo di sperpero di risorse. Il problema è serio perché, come ben sanno gli studenti di Economia Politica, dopo la crisi economica del 1929 gli Stati hanno generalmente adottato un modello keynesiano economico semplice ma efficace per riequilibrare le situazioni critiche, basato proprio proprio sulla Spesa Pubblica. In situazione di crisi, lo Stato aumenta la spesa pubblica per sostenere le famiglie (e i consumi) e l’impresa (e la produzione). Ciò consente di uscire dalla crisi al prezzo di un aumento del debito pubblico. Quest’ultimo viene poi riassorbito grazie alle maggiori entrate derivanti dalla ripresa economica.
MECCANISMI – Affinché questo meccanismo di compensazione funzioni, è però necessario che la Spesa Pubblica abbia la capacità di comportarsi come un elastico, ossia di stringersi o di allargarsi a seconda delle esigenze. E’ evidente che se la Spesa Pubblica è già troppo elevata, non avrà la capacità di aumentare ulteriormente per far fronte alle emergenze. In Italia la Spesa Pubblica è passata dal 20 % del PIL (dopoguerra) a oltre il 50 % del PIL (2013). Tuttavia questa situazione è comune a quasi tutti i paesi europei, compresa la Germania. Infatti la media europea si attesta intorno al 51%. La ragione sta nel fatto che in Europa si è affermato il cosiddetto Stato Sociale, nel quale lo Stato (tassando chi ha di più ed erogando a chi ha di meno) garantisce a tutti i propri cittadini i principali servizi (scuola, sanità, pensioni), sostiene l’impresa e l’occupazione, modera il mercato per evitare eccessive sperequazioni e favorisce la ridistribuzione della ricchezza. Questo modello ha efficacemente sostituito quello keynesiano, ma per funzionare sono essenziali due requisiti: che la ricchezza sia effettivamente distribuita (in caso contrario i consumi si riducono) e che la produzione (e quindi l’imprenditoria e l’occupazione) sia ben sostenuta. In Italia ciò non è avvenuto per via degli sprechi di denaro pubblico (che hanno arricchito pochi), dell’evasione fiscale (che ha arricchito chi può evadere) e di un sistema di tassazione (e contributi) che ha colpito soprattutto i lavoratori dipendenti e gli imprenditori. Già nel 2010 i dati della Banca d’Italia mostravano che la ricchezza, in Italia, andava concentrandosi nelle mani di pochi: il 45% era in mano al 10% delle famiglie.
CRISI – Con la crisi economica, la situazione è ulteriormente peggiorata e il 10% delle famiglie possiede il 50% della ricchezza. Ciò provoca una drastico abbassamento dei consumi e quindi della produzione, che a sua volta fa calare l’occupazione e aumentare la povertà. La concentrazione di ricchezza, quindi, è la causa principale della crisi economica nel Paese. L’Euro ha determinato questa concentrazione? I dati statistici dicono di no. Infatti già nel 1991 il 10% delle famiglie possedeva più del 40% della ricchezza. Nel 2000 ormai il dato sfiorava il 50%. L’Euro è stato introdotto, come moneta circolante, solo nel 2002. La verità, quindi, è che per decenni abbiamo sperperato risorse pubbliche e ci siamo indebitati sempre più, ignorando che prima o poi avremmo dovuto pagare un conto salato. Con l’adesione al Patto di Stabilità l’Italia non ha più potuto contare sull’aumento dell’indebitamento per finanziare la propria spesa pubblica e non è stato più possibile rimandare il momento di pagare quel conto. L’introduzione dell’Euro può, forse, aver peggiorato la situazione in termini di distribuzione della ricchezza (perché mentre gli stipendi dei lavoratori dipendenti sono rimasti sostanzialmente ancorati al cambio lira/euro, i prezzi dei beni e dei servizi hanno seguito un altro percorso) ma non l’ha di certo causata. L’abbandono dell’Euro, quindi, non risolverebbe il problema.
LA STORIA – Anzi, al punto in cui siamo, lo accentuerebbe perché l’Euro è una moneta forte il cui valore è sorretto proprio dalla forza dell’unità monetaria europea. Se l’Italia uscisse dall’Euro, nessuno si fiderebbe della moneta emessa da uno Stato in evidente difficoltà economica. La moneta nazionale si svaluterebbe precipitosamente e sarebbe una catastrofe nella quale i più furbi avrebbero costituito riserve di capitale all’estero (in Euro) per preservare le proprie ricchezze, mentre tutti gli altri farebbero la fame. Ora, in Italia, anche con la crisi, i soldi ci sono. L’Italia è un paese ricco: il 60% delle famiglie italiane ha una ricchezza superiore a quella del 90% delle famiglie di tutto il mondo. Bisogna distribuire meglio questa ricchezza e pertanto occorre un sistema di tassazione più equo ed efficace e occorre azzerare gli sprechi che bruciano ricchezza inutilmente. E sotto quest’ultimo aspetto, nonostante i tanti buoni propositi, la strada è ancora lunga e ardua. Lo dimostrano “piccole” cose, estremamente significative. Abbiamo davvero bisogno di uno “yacht presidenziale” sia pure con la scusa che verrebbe utilizzato anche come “idroambulanza”? Abbiamo davvero bisogno di un panfilo per “addestrare” gli uomini della Guardia di Finanza e fungere da “nave civetta”? D’accordo che si tratta di imbarcazioni confiscate, ma adattarle e mantenerle costerà un botto di soldi ed è difficile credere che saranno davvero utilizzate per gli scopi dichiarati, piuttosto che per costose vacanze pagate con i soldi pubblici. Non sarebbe stato molto meglio venderle all’asta e utilizzare il ricavato per dare una casa a qualche famiglia sfrattata e senza lavoro o per finanziare un’impresa in difficoltà costretta a licenziare i propri dipendenti? Questi sono solo banalissimi esempi del fatto che in Italia si continua a sperperare denaro in barba alla crisi. Ma è più facile prendersela con l’Euro che intaccare consuetudini e privilegi che vanno avanti da tanti, troppi decenni.