Uscire dall’euro: il piano di Geert Wilders per l’Olanda
07/02/2014 di Alessandro Guerani
Il leader del partito di destra olandese Freedom Party Geert Wilders ha presentato ieri uno studio economico, commissionato alla società di consulenza inglese Capital Economics, che presenta i benefici per l’Olanda rivenienti da una sua uscita non solo dall’Eurozona ma dalla Unione Europea, inserendolo dentro al programma per le elezioni europee su cui chiamerà gli elettori olandesi a votare.
USCIRE DALL’EURO: I VANTAGGI – Lo studio di ben 157 pagine affronta i vantaggi di un’uscita dell’Olanda sotto due punti di vista. Il primo riviene dalla maggiore crescita riveniente dal potere decidere politiche commerciali ed industriali, fuori dal quadro regolatorio europeo, e soprattutto dalla ritrovata autonomia monetaria e fiscale che potrebbe essere indirizzata verso le esigenze precipue dell’economia olandese e non essere più un “one size fit all” come obbligatoriamente è quella della BCE e delle regole di Maastricht, rafforzate dai vari Fiscal Compact, Two Pack, Six Pack, eccetera che lo studio stesso ritiene comunque ritagliate solo sulla situazione della Germania. Ricordiamo infatti che l’Olanda ha un pesante problema di debito privato, che sta raggiungendo quasi il 300% del reddito disponibile delle famiglie ed è, includendo anche gli operatori non finanziari, oltre il 220% del PIL, motivo per cui lo Stato ha già dovuto nazionalizzare due delle quattro principali banche olandesi, ABN Amro e SNS Reaal.
È chiaro che una politica monetaria deflazionistica è l’ultima cosa che serve per chi è molto indebitato e già fa fatica a restituire i soldi, quindi capite la presa che anche solo quest’argomento potrà avere sull’elettorato. Infatti lo studio afferma che l’Olanda, che ha visto un drastico calo dei consumi interni dall’inizio della crisi nel 2008, avrebbe bisogno di una politica monetaria molto più lasca (“looser”) che quella imposta all’Eurozona dalla leadership tedesca: “the Dutch malady is being treated using the prescription for a German patient”.
USCIRE DALL’EURO: IL PIANO DI GEERT WILDERS – Ulteriori “guadagni” verrebbero sia dalla eliminazione dell’ingombrante (“cumbersome”) regolamentazione che l’UE impone alle aziende, ritenuta particolarmente inefficiente, specie se confrontata con la legislazione interna del vicino UK, sia dal risparmio sui versamenti alla UE (l’Olanda è un contributore netto), sia dall’autonoma gestione dei flussi di immigrazione, campo dove certamente gioca anche il pregiudizio ideologico del partito che ha commissionato lo studio.
USCIRE DALL’EURO: IL RISPARMIO STIMATO – Il secondo punto di vista, che ci riguarda più da vicino, è che viene stimato il risparmio che si potrà avere potendo evitare i nuovi massicci aiuti ai paesi del Sud Europa, aiuti che lo studio ritiene inevitabili stante l’attuale costruzione dell’Eurozona. Infatti lo studio considera inevitabile che, per evitare i costi di una dolorosa deflazione, debba essere predisposto il bailout di nazioni periferiche o la rottura dell’Eurozona, o entrambi, e che l’Olanda in sostanza ci dovrebbe partecipare come “paese pagatore”. Questo argomento è più o meno simile a quelli che si sono letti spesso sulla rivista tedesca Handelsblatt e ripresi dal partito AFD in Germania e mostrano come il tema della “solidarietà” del “più Europa” sia fortemente osteggiato, anche su basi piuttosto razionali, in quanto i costi di una Unione di Trasferimento con un bilancio federale veramente congruo, come quello che chiedeva proprio Napolitano nel suo discorso, o la condivisione anche solo parziale del debito degli altri paesi avrebbero un peso inaccettabile anche per quelli più ricchi dell’Eurozona. Qui di seguito vedete le previsioni dello studio confrontate con un altro del 2012, considerate che nel 2013 il GDP olandese è stato pari a 603 mld. Di euro:
USCIRE DALL’EURO: GLI SVANTAGGI E I RISCHI – Lo studio ritiene che i principali costi dell’uscita siano concentrati sulla sostituzione dell’euro con la nuova valuta nazionale e sull’abbandono dell’integrazione con la UE. La preparazione di nuove banconote, modifiche dei sistemi informativi e di pagamento, eccetera sono stati stimati dallo 0,3 al 0,8% del PIL, prendendo come riferimento i costi dell’analoga transizione dal Gulden all’Euro nel 1999-2000, mentre gli eventuali futuri costi di transazione, legati ad avere una moneta propria variano, a seconda di diversi studi, dallo 0,1% allo 0,8% del PIL ma scenderebbero notevolmente se l’area euro rimanesse in piedi dopo l’uscita dell’Olanda, decisamente un “wishful thinking” in questo caso. Più difficilmente quantificabili sono invece i rischi. Le ricadute sul commercio intra-UE dipendono su quale accordi commerciali potrebbero essere presi, successivamente all’uscita, con la UE. Escludendo, a ragione, come irrealistici i pericoli di “rappresaglie” commerciali, i maggiori oneri sarebbero il carico amministrativo e procedurale della nuova barriera doganale, stimato sul 3% del valore delle esportazioni, mentre si presume che una Olanda fuori dai vincoli UE potrebbe avere una percentuale di commercio extra UE pari a quello svizzero che controbilancerebbe gli svantaggi prima citati, un altro wishful thinking onestamente. Per le fluttuazioni alle quali sarebbe sottoposta la nuova moneta dopo l’uscita viene previsto un periodo di instabilità, ma essendo che l’uscita non sarebbe accompagnata da una crisi bancaria o da un deficit di bilancia commerciale, si ritiene che le fluttuazioni sarebbero nell’ordine del 10% in più o in meno, con una perdita temporanea dello 0,5% del PIL.
CONCLUSIONI – Le conclusioni dello studio sono che in caso di uscita dalla UE l’Olanda nel 2035 avrebbe un PIL dal 10 al 13% maggiore che restando nell’attuale situazione. Molte argomentazioni appaiono robuste, e potrebbero essere applicate anche in casi diversi che quello olandese, ma sicuramente i due vantaggi maggiori sono uno presente ed uno futuro: il presente è che l’alto indebitamento privato olandese rischia di deteriorare l’economia del paese oltre ai livelli di guardia con l’attuale BCE germanocentrica, quello futuro è di evitare di contribuire alla condivisione dei debiti e a trasferimenti interni verso i paesi più in difficoltà dell’Europa.
È ovviamente una posizione “meno Europa”, consona alla politica proposta dal Freedom Party, che del resto è il committente dello studio stesso, ma il problema per noi è che questo partito, uscito ridimensionato dalle politiche del 2012 col 10,1% dei voti (-5,4%), è attualmente in testa in quasi tutte le proiezioni per le Elezioni Europee, con stime che arrivano persino ad appena un seggio in meno rispetto ai partiti della attuale coalizione di governo.Chi propaganda facili transizioni agli Stati Uniti d’Europa, in cui fraternamente ci si aiuta e ci si sostiene, deve stare quindi attento. Proprio dai paesi del nord potrebbe avere le sorprese più spiacevoli.