Ustica: una tragedia, troppe verità

27/06/2012 di John B

Anche se tutti credono che Priore abbia avvallato l’ipotesi del missile, ben pochi sanno che le sue conclusioni furono di ben diverso tenore, e cioè che quella sera alcuni caccia tentarono di intercettare un velivolo intruso che si nascondeva nella scia del DC9. Scoperto, l’intruso accelerò bruscamente per fuggire, e fu la turbolenza creata da questa manovra a provocare la distruzione strutturale del DC9 Itavia. Infine, c’è il pilastro delle perizie di parte civile, e in particolare quella del perito Luigi Di Stefano, che sull’argomento ha scritto un libro e ha creato un sito Webed è il più acceso sostenitore della teoria del missile.Anche la perizia del Di Stefano è singolare. Il perito prima considera: “E` possibile che intorno al DC9 Itavia si sia svolta una battaglia aerea senza che sui nastri dei radar militari e civili ne sia rimasta traccia?Ovviamente no…Ma i nastri militari sono stati manipolati? La risposta è “no“. Nessuno ha cancellato niente” e poi teorizza l’azione di un qualche sistema elettronico che avrebbe ingannato i radar producendo tracce alterate per giungere alla conclusione che il velivolo Itavia fu colpito da due missili. Ma se le inchieste giornalistiche hanno fornito teorie così contraddittorie (con tanto di supertestimoni che spergiurano una loro verità), se il giudice Priore ha sentenziato in favore di una destrutturazione conseguente alla turbolenza indotta da un velivolo intruso, se perfino i periti di parte civile esclusero che i nastri radar furono manipolati e ammisero che non mostravano tracce di battaglie aeree… com’è possibile che laverità diffusa, basata proprio su queste fonti, si sia consolidata sulla teoria che il DC9 fu abbattuto da missili americani durante uno scontro aereo? Eppure, cosi è. Se vi pare.

LE SENTENZE – Sono in tanti a pensare che la “sentenza Priore” abbia stabilito che la tragedia di Ustica fu causata da un missile sparato nel corso di una battaglia aerea, e che i militari dell’Aeronautica depistarono le indagini e distrussero le prove, che alcuni di essi furono identificati e condannati in primo grado, e che in qualche modo, fra appelli e prescrizioni, come spesso capita, se la siano tutti cavata senza aver fatto un giorno di galera. E invece i fatti sono radicalmente diversi. Per cominciare, è bene rammentare che il processo di Ustica fu condotto in base alle norme del vecchio codice di procedura penale e non del nuovo (entrato in vigore nel 1988), ossia con un processo di tipo “inquisitorio”. Priore era il giudice istruttore (una figura non più esistente nel moderno processo penale) , ossia il magistrato incaricato di “istruire” il processo e di “passarlo” poi all’organo giudicante, che in quel caso era la Corte d’Assise. Priore non poteva stabilire chi fosse colpevole e chi no, ma poteva soltanto decidere se esistevano elementi sufficienti a imbastire un processo contro uno o più imputati, che in tal caso sarebbero stati “rinviati a giudizio”. Anche oggi esiste il “rinvio a giudizio”, al termine di un’udienza preliminare condotta da un giudice, il GUP. Ma la differenza sostanziale è che il GUP non istruisce il processo e di regola non assume prove: la vecchia fase di “istruttoria” è sparita, spetta all’organo giudicante ammettere, assumere e valutare le prove. Ciò garantisce la massima imparzialità del giudice che non è influenzato dall’attività svolta dal giudice istruttore. Quella di Priore non fu, quindi, una sentenza di primo grado, ma fu semplicemente una sentenza-ordinanza procedimentale: con essa si disponeva l’archiviazione in ordine al delitto di strage perchè “ignoti gli autori del reato” ed il rinvio a giudizio di alcuni generali, ufficiali e sottufficiali dell’Aeronautica con varie imputazioni connesse al tradimento nei confronti della Costituzione e al depistaggio. A monte di questo dispositivo di sentenza-ordinanza, Priore poneva la tesi che il DC9 fosse stato distrutto nel corso di un’azione militare in cui aerei militari (americani, italiani, NATO) avevano intercettato un altro velivolo militare (il MIG-23 rinvenuto in Calabria il 28 luglio) che si nascondeva nella scia dell’aereo ITAVIA. Questa tesi era inserita un contesto internazionale estremamente complesso, nel quale Priore innestava una serie di considerazioni a dir poco “personali (si va dal Re di Prussia a Pearl Harbor passando per la guerra tra Libia e Chad). Dato che al di là di tanti costrutti più o meno fantasiosi, prove non ce n’erano, la teoria era che le prove erano state distrutte o nascoste dai militari.Di qui le imputazioni del rinvio a giudizio.

OPERAZIONI DI DISINFORMAZIONE – La Corte d’Assise non condannò nessuno e non avvallò gli scenari proposti dal giudice istruttore, in quanto privi di fondamento. Rilevò che solo due degli imputati si erano resi responsabili di non aver riferito alcune informazioni o di aver riferito informazioni errate alle autorità politiche ma il reato di alto tradimento che poteva ricollegarsi a questa condotta si era prescritto per cui non potevano essere condannati. E assolse con formula piena tutti gli altri imputati. E’ importante sottolineare chela Corte d’Assise non rilevò che gli ufficiali avessero mentito ai propri superiori o all’Autorità Giudiziaria, ma semplicemente che omisero di riferire alcune informazioni o riferirono informazioni errate all’autorità politica. Se ne deduce che i militari non mentirono né nascosero nulla ai giudici: non ci fu “depistaggio”. Difatti, l’abusata convinzione che i militari dell’Aeronautica “fecero sparire” i nastri di alcune postazioni radar è del tutto erronea. Come lo stesso giudice Priore ebbe a documentare nella sua istruttoria e a riferire innanzi alla Commissione Stragi, non è affatto vero che i militari nascosero o distrussero i nastri. Era invece successo che il provvedimento con cui la Procura di Palermo disponeva il sequestro dei nastri originali era generico e parlava semplicemente di “registrazioni delle intercettazioni dei radar militari comunque operanti sul Mar Tirreno nella notte tra venerdì 27 giugno e sabato 28 giugno 80, tra le ore 20.00 e le ore 23.15”. I Carabinieri, incaricati del sequestro, ritennero che ai giudici interessassero in effetti i nastri dei radar che coprivano la zona in cui era avvenuto il disastro,per cui non procedettero ad alcun sequestro presso i siti radar che non coprivano quell’area. Quando, ben 10 anni dopo, i magistrati romani tentarono di recuperare quei nastri, ormai non c’era più nulla da fare: le norme in vigore nel 1980, infatti, prevedevano che i nastri radar del controllo aereo fossero distrutti (o meglio riciclati) dopo 30 giorni. Dato che nessuno glieli aveva chiesti, i militari dell’Aeronautica non avevano ragione di conservarli e violare le norme. Quindi, se c’era da prendersela con qualcuno, i magistrati avrebbero dovuto prendersela con i Carabinieri che essi stessi avevano delegato, non certo con l’Aeronautica Militare.  Ma in ogni caso, quei nastri non erano importanti come qualcuno ha voluto sostenere: quei radar non battevano (o battevano marginalmente) la zona interessata dalla famigerata battaglia aerea e per di più furono rintracciati e recuperati i tabulati cartacei che riproducevano quelle registrazioni.

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