Utero in affitto, la Cassazione: «Il bambino dev’essere adottato»
12/11/2014 di Redazione
Quando la politica non decide e non legifera in maniera chiara spesso succede che le decisione che regolano i comportamenti delle persone, anche su questioni delicate come la genitorialità, vengono assunte nei palazzi di Giustizia. Con risultati a volte discutibili. È il caso della sentenza di Cassazione che ha strappato ad una coppia di Brescia il loro figlio nato in Ucraina da una madre surrogata che si era prestata, dietro pagamento, a portare il bambino in grembo. La pratica della surrogazione di maternità, meglio nota come «utero in affitto», in Italia è vietata e la Suprema Corte con il suo verdetto ora sembra sbarrare definitivamente la strada al riconoscimento dei figli nati all’estero.
FIGLIO DI NESSUNO – Il protagonista di questa storia è un bambino di nome Tommaso, nato nel 2011 in Ucraina su committenza di una coppia di cinquantenni, ai quali per tre volte era stata respinta la richiesta di adottare in Italia. Siccome il nostro Paese non riconosce la pratica della fecondazione extracorporea, il piccolo si trova ora a non essere per la legge figlio di nessuno, ed occorre trovargli una famiglia, dato che i coniugi che volevano tenerlo con sé hanno cercato di mentire sulla sua nascita.
INDAGINE – La procura generale della Cassazione aveva chiesto la revoca dello stato di adottabilità di Tommaso e la restituzione del bambino a coloro che si erano spacciati per i suoi veri genitori al ritorno dall’Ucraina (prontamente denunciati per frode anagrafica). Dalle indagini era emerso che la coppia non era in grado di avere figli, visto che alla signora era stato asportato l’utero da tempo e l’uomo era affetto da una forma di infertilità. I due coniugi, dal canto loro, avevano chiesto di avere con sè il bambino, sostenendo che in Italia i tempi sono maturi per individuare su casi simili «valori condivisi dalla comunità internazionale» e armonizzarli «con il sistema interno». La Cassazione ha deciso diversamente.
SENTENZA – La sentenza in sostanza ha ribadito che la legge italiana contiene «un espresso divieto, rafforzato da sanzione penale, della surrogazione di maternità, ossia della pratica secondo cui una donna si presta ad avere una gravidanza e a partorire un figlio per un’altra donna». Il verdetto ha poi ricordato il «divieto di fecondazione eterologa, pronunciato dalla Consulta con la recente sentenza 162 del 2014».
(Foto di copertina di Angelo Carconi da archivio LaPresse)