Beppe Grillo e la vera storia dei 40 agenti «colpiti» dalla tubercolosi
03/09/2014 di Stefania Carboni
Allarme tubercolosi? Ieri sul blog di Beppe Grillo si è riparlato della denuncia del Consap che riportava la positività di circa 40 agenti al test di Mantoux. Nei sindacati del corpo la problematica (perenne) della protezione e della dotazione degli agenti di polizia ritorna sui tavoli di riunione. «Siamo venuti a conoscenza dei casi – confermano dall’ufficio stampa Siulp – ne parleremo anche stasera. È stata diramata recentemente una circolare dal Dipartimento di pubblica sicurezza e ci risulta che gli agenti adottino tali circolari. Certo, sarebbe meglio discutere sulle precauzioni più idonee anche con noi. Non c’è solo la Polizia coinvolta, ma anche altre realtà come i volontari, la Guardia Costiera». Dal sindacato si indica legittimo il comunicato emanato dai colleghi di Silp-Cgil che parlano di screening sanitario senza particolari condizioni d’allarme: «I test finora praticati sul personale rientrano tra quelli attesi nella media della popolazione generale: non risultano, ad oggi, operatori ammalati ovvero affetti da patologia attiva». Eppure sull’altro fronte sindacale si parla di numeri potenziali. Dei 40 casi denunciati dal Consap solo tre agenti sono in fase di incubazione. «Ringrazio Beppe Grillo e il Movimento 5 stelle per l’attenzione che ci ha voluto dedicare ma il dato è inesatto», spiega a Giornalettismo il segretario Sap Gianni Tonelli che conferma i casi accertati dopo le ulteriori verifiche dopo il test di Mantoux. I casi si trovano rispettivamente a Bologna, Ferrara e Terni. «Persone – spiega il segretario – che dovranno comunque subire una cura pesante».
I 40 E L’ORIGINE DELLA DENUNCIA – Partiamo dall’inizio, da quel 40 da cui ora emergono (dopo ulteriori diagnosi) solo tre casi accertati. «Il dato – spiega Tonelli – è stato reperito da una nostra sigla sindacale. Ovvero 40 persone sono risultate positive al test di Mantoux che però non significa avere la malattia manifesta o nel periodo in incubazione. Noi abbiamo lanciato un gravissimo allarme sul cordone sanitario che manca in Italia e le condizioni dei nostri colleghi perché sono stati riscontrati tre casi». «Il ministero dell’Interno – spiega il segretario – in maniera altrettanto poco corretta cerca di raddrizzare il tiro dicendo che non c’è nessuno che abbia la malattia. La Tbc è come l’HIV: ha un periodo di incubazione lungo. Dopo le nostre denunce abbiamo i dati reali ma, secondo la legge dei grandi numeri possiamo anche ipotizzare che i dati divengano superiori». Insomma anche se tre la cosa non bisognerebbe lasciarla morta lì: «Quello che dice il Dipartimento è falsamente rassicurante. Certo la malattia “non c’è l’ha ancora nessuno” ma ci sono tre casi. Inutile che si cerchi di declinare per una irresponsabilità della profilassi che dura da anni». Ed è qui l’inghippo: la protezione ci sarebbe ma non arriva. Il Dipartimento ha recentemente emanato alcune circolari in merito con linee guida: «Certo – spiega Tonelli – partì tutto dopo che abbiamo verificato le condizioni dei nostri colleghi a Pozzallo, Caltagirone e Taranto». Quando arrivavano gli sbarchi secondo il sindacalista la profilassi era «completamente inapplicata». «Ci sono le fotografie verificabili: le persone venivano mandate a soccorrere a mani nude».
LA GRANDE RUOTA DELLA PROFILASSI… CHE S’INCEPPA – Il segretario Sap parla del numero degli sbarchi e di un problema che va a monte: sta tutto nel meccanismo di protezione che, anche se garantito da screening e linee non si concretizza. «Chiaramente ci vuole rispetto e dignità alle persone», spiega riferendosi alle persone che richiedono asilo in Italia. «Ma – precisa – le tre persone contagiate sono agenti che non hanno avuto a che fare con gli sbarchi. Hanno contratto il batterio per motivi di servizio nelle zone di ricezione di migranti».
Esempio di questo deficit è uno dei tre casi confermati di TBC. «L’agente di Ferrara – spiega il segretario Sap – ha contratto la malattia mentre operava al servizio fotosegnaletica». Il contagio? Attraverso un migrante richiedente asilo che – spiega Tonelli – era in attesa del giudizio della Commissione e collocato in provincia. «Non è un problema di periferia ma generale – conclude – la tutela degli operatori deve esser una priorità».
NON ESISTE ALLARME MA BISOGNA COMUNQUE MONITORARE – Ma si rischia davvero una epidemia di Tbc? Abbiamo chiesto spiegazioni a Giovanni Rezza, Dirigente di ricerca e direttore del Dipartimento malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità (Iss). «La tubercolosi – spiega a Giornalettismo – si contrae per via aerea. Non è facilmente trasmissibile: bisogna avere un rapporto abbastanza prolungato con il soggetto». «In Italia – ha aggiunto – l’andamento è piuttosto stabile. Non vediamo grosse variazioni negli ultimi anni. Anche se metà dei casi viene riscontrata negli anziani e metà nei giovani stranieri. Il che vuol dire che quando aumentano i flussi migratori, specialmente da zone altamente endemiche, è naturale che possano venire persone che incubano e possano sviluppare la malattia».
SITUAZIONE NON D’ALLARME – «Non vediamo una diffusione rilevante negli italiani, non vediamo un aumento nei giovani italiani». Questo, precisa il dirigente è un segno rassicurante. «È un fenomeno che chiaramente non si può sottovalutare ma che per ora non desta allarme». I numeri? «Abbiamo 6/7 casi per 100 mila abitanti con più incidenza al Nord che al Sud».
«Sul fenomeno – ha ribadito – c’è attenzione ma non allarme». Quindi il rischio concreto di un ritorno della malattia in Italia? Secondo Rezza non si prevedono diffusioni epidemiche anche se non può essere, a lungo andare, escludibile sia la stabilizzazione della casistica (anziché la diminuzione) che una leggera inversione di tendenza. La probabilità di contagio aumenta con l’aumentare del tempo trascorso con il malato in ambienti chiusi; cresce quando si dorme nella stessa stanza, si condivide lo stesso spazio. «La malattia non è debellata né debellabile in quanto non c’è vaccino antitubercolare, efficace ora nei bambini, sostanzialmente neonati».
E se c’è sospetto di Tbc cosa può fare una persona? «La cosa migliore – spiega Rezza – è la diagnosi precoce della malattia con trattamento precoce. Una volta trattato il malato non è più contagiante». Tbc in fase attiva e lesioni polmonari agevolano la trasmissione del batterio: «Non è il morbillo, parotite e varicella. È meno contagiosa per questo che una diagnosi precoce è la migliore soluzione».
L’IMPORTANZA DELLA DIAGNOSI PRECOCE– Il vaccino per la TBC, conosciuto con la sigla BCG, è poco efficace per la prevenzione della tubercolosi polmonare. In Italia viene raccomandato solo per casi particolari. In paesi ad alto rischio il vaccino è ancora utilizzato nei bambini per prevenire alcune forme come la meningite tubercolare.
«L’Italia – spiega – è un paese ad incidenza medio-bassa per cui potrebbe non esser necessario utilizzare un vaccino finora a bassa efficacia».
Tornando al caso degli agenti esposti alla Tbc i contagi sono avvenuti in un secondo step non allo sbarco perché? «Non conosco esattamente l’episodio – spiega Rezza – la cosa migliore è fare una buona valutazione clinica, cosa che si fa già con Mare Nostrum e nei centri. Il punto è che uno può arrivare “sano” e poi contrarre la malattia. Per questo è importante attivare i centri di diagnosi precoce». L’allarme non c’è ma «è chiaro che non si possono ignorare i problemi». «Ripeto diagnosi precoce e trattamento precoce sono le soluzioni migliori».
—UPDATE—
“Non si è registrato nessun caso di tubercolosi tra i militari impegnati nell’operazione Mare Nostrum” dichiara il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, alle commissioni Esteri e Difesa riunite di Camera e Senato.
(Immagini copertina e pezzo Getty)