«Vi faccio vedere che significa vivere con l’ebola in casa»
07/11/2014 di Valentina Spotti
Moltissimi apprezzamenti e commenti commossi per la puntata di ieri sera di Servizio Pubblico, interamente dedicata all’epidemia di Ebola che sta colpendo l’Africa occidentale. A catalizzare l’attenzione del pubblico è stato senza dubbio il lungo reportage che l’ex “Iena” Pablo Trincia e Francesca Di Stefano hanno realizzato in Sierra Leone, uno dei paesi più colpiti dall’epidemia. Le telecamere di Servizio Pubblico hanno mostrato la vita all’interno dell’ospedale di Emergency di Freetown, che da qualche mese ospita anche un centro di soccorso per i malati di ebola: ventidue posti letto che, come dice lo stesso Gino Strada, «sono sempre pieni». Freetown, capitale della Sierra Leone, è una delle città più colpite dall’epidemia: «L’ebola – prosegue Strada – Ce la siamo trovata alla porta di casa, e abbiamo dovuto affrontarla».
EBOLA: L’OSPEDALE DI EMERGENCY IN SIERRA LEONE – Le strutture che accolgono i malati sono poco più che tende e il personale sanitario deve fare i conti non solo con le procedure di sicurezza per evitare di contagiarsi a loro volta, ma anche con le temperature soffocanti che non consentono di restare a lungo nelle tende, specie se si è interamente coperti dalle tute anti-contagio. I malati arrivano quotidianamente, spesso portati da qualcun altro che li ha raccolti lungo la strada – aumentando così la possibilità di diffusione del contagio. Nonostante tutti gli sforzi di medici e infermieri, non tutti riescono a sopravvivere: tra questi c’è il caso di una famiglia di cinque persone, di cui l’unico a guarire è soltanto un bambino di appena cinque anni.
EBOLA: ECCO COME È PARTITA L’EPIDEMIA IN SIERRA LEONE – Nel corso della prima parte del servizio, Gino Strada e i suoi collaboratori chiariscono le modalità di contagio da ebola: «Se io ti tocco che sei sudato e ho una piccola abrasione nella pelle o mi tocco gli occhi, il naso e la bocca posso contagiarmi. Ma non c’è alcuna prova che il contagio si diffonda per via aerea. Quello che sta succedendo in Italia – prosegue Strada, riferendosi anche alla recente manifestazione della Lega Nord contro l’immigrazione – È una psicosi dettata dall’ignoranza, dal razzismo e dalla xenofobia. Gente ignorante, che non saprebbe dire una parola sull’ebola. In Italia non ci sarà mai un’epidemia di ebola. È possibile che arrivi un caso, ma un caso non è un epidemia». Una dottoressa spiega anche come si è diffusa l’epidemia in Sierra Leone, partendo dal paziente zero: una donna considerata una sorta di “santona” dai membri della comunità, la cui morte per ebola è stata considerata come una sorta di messaggio lanciato dagli spiriti. «Così le persone si sono raccolte intorno alla salma infetta, baciandola e toccandola. Ed è successo il disastro».
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EBOLA: L’EPIDEMIA IN LIBERIA – Il servizio di Trincia e Di Stefano prosegue in Liberia, all’interno delle diverse comunità, dove la battaglia più grande si gioca anche per vincere la diffidenza degli abitanti di certi villaggi nei confronti degli operatori sanitari che spiegano loro non solo come riconoscere i sintomi dell’ebola, ma anche quali precauzioni prendere per evitare il contagio. In un villaggio la vittima più giovane dell’ebola è un bambino di otto mesi: la madre, un’adolescente di soli sedici anni piange il suo piccolo ucciso da una malattia che nessuno ha saputo riconoscere né fermare. Chi aiuta i malati di ebola non sono soltanto i medici: Trincia segue il lavoro di un giovane uomo, laureato in economia, che si è messo al servizio della comunità andando nei villaggi, aiutando i malati e seppellendo i morti, il tutto con il timore ineluttabile di poter contrarre il virus a sua volta, anche solo per una semplice distrazione.
Grande televisione, grande inchiesta su #Ebola #serviziopubblico
— Giuseppe Smorto (@giusmo1) 6 Novembre 2014
grande servizio bisogna riconoscerlo #serviziopubblico stasera ha ben informato sulla tragedia dell’#ebola pic.twitter.com/wEM11zzTlx — nenci (@fattivostri) 6 Novembre 2014
#Giornalismo allo stato puro in onda ora #serviziopubblico #ebola. @francidistef @PabloTrincia che bravi!
— Erika Brenna (@eribrenda) 6 Novembre 2014
Una madre 16enne piange il figlio di 8 mesi ucciso da #ebola. Forse la scena più straziante che ci siamo trovati davanti #serviziopubblico — Francesca Di Stefano (@francidistef) 6 Novembre 2014
#serviziopubblico per una sera di nome e di fatto. Solo le storie possono salvare il giornalismo. #Ebola cc @Serv_Pubblico
— Enrico Veronese (@enver) 6 Novembre 2014
Grandiosi i Medici di Emergency e grande #serviziopubblico ad averceli raccontati #ebola — Cinzia Bancone (@CinziaBancone) 6 Novembre 2014
Questi medici sono semplicemente eroi. #serviziopubblico#ebola
— danielecina (@danielecina) 6 Novembre 2014
EBOLA: LA STORIA DI FATUMATÀ, AGGREDITA A ROMA SU UN BUS – Nello studio del programma di Michele Santoro, intanto, ci sono diversi ospiti: tra questi anche Fatumatà la ragazza che appena qualche settimana fa è stata insultata e aggredita mentre si trovava a bordo di un autobus di Roma perché accusata da alcuni ragazzini di avere l’ebola.
EBOLA: «IL GOVERNO ITALIANO STA FACENDO POCO» – In collegamento dalla Sierra Leone, poi, interviene anche Gino Strada che parla dell’urgenza di un intervento dei governi, compreso quello italiano, per fermare l’epidemia di ebola in Africa. Azioni concrete laddove ce ne sia bisogno: «Il governo italiano sta facendo poco – dice Strada – Stanziare cinquanta milioni solo per rafforzare la nostra difesa: ma cosa si fumano? Basterebbe chiedere ai direttori degli istituti Spallanzani e Sacco se pensano di trovarsi i reparti pieni di malati di ebola. Rafforzare le strutture ospedaliere va bene, ma non si usi questo per dire che abbiamo combattuto l’ebola. Il governo italiano dovrebbe fare cose diverse, estendendo la possibilità di destinare la protezione civile alle ONG che lottano sul campo contro l’ebola. Il governo dovrebbe incentivare una risposta italiana a questa emergenza».
(Photocredit copertina: Servizio Pubblico)