Wikileaks svela TISA, il trattato segreto che metterebbe i servizi finanziari nelle mani delle corporation
19/06/2014 di Mazzetta
Il Trade In Services Agreement (TISA) emerge all’improvviso dalle nebbie del segreto grazie a Wikileaks e si mostra subito in tutta la sua pericolosità.
GLI ULTIMI LEAK – I documenti pubblicati dall’organizzazione di Julian Assange, che proprio in queste ore compie il secondo anniversario da rinchiuso nell’ambasciata dell’Ecuador, sono stati distribuiti in collaborazione con le testate di diversi paesi, per l’Italia L’Espresso. I documenti rivelano l’esistenza di trattative segretissime attorno a un documento destinato nelle intenzioni a regolare i servizi finanziari su scala internazionale. Quello che colpisce di questa ennesima rivelanzione non è tanto che anche il settore dei servizi finanziari, la rilevanza del quale è sempre più imponente nelle economie di tutti i paesi, cerchi di darsi regole comuni, quanto come anche attorno a questo tavolo si ripeta pedissequamente uno schema già visto e applicato a molti altri negoziati simili.
TRUCCHI GIÀ VISTI – Come per l’ACTA (Anti-Counterfeiting Trade Agreement), bocciato poi dalla UE in maniera irrimediabile, come per il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il SOPA (Stop Online Piracy Act) e altri accordi transnazionali, anche per il TISA i documenti rivelano che il motore di questi accordi sono gli Stati Uniti, più precisamente le corporation statunitensi. Come per gli altri trattati anche il TISA si risolve in un prendere o lasciare un trattato scritto dagli avvocati delle corporation, e come per gli altri trattati si risolverebbe nel lasciare mano libera all’industria del settore e mani legate ai governi e ai parlamenti, obbligati a penali pesantissime qualora proprio non accettassero di piegarsi al rispetto dell’accordo una volta firmato.
LA LOBBY DELLE COPRPORATION – Protagonista di questa battaglia è la «Coalition of Services Industries», un gruppo di lobbysti statunitensi che non fa mistero di considerare leggi, regolamenti e governi come un ostacolo agli affari e nulla più ed è sicuramente per questo che la stessa posizione è assunta dal governo degli Stati Uniti, che nelle more delle trattative non ci vede niente di male, ad esempio,che le aziende del settore possano trasferire dati sensibili da un paese all’altro e farne quello cheè meglio per il business. Come altri trattati del genere infatti il TISA tende a un deciso trasferimento di potere dai governi e dai cittadini in capo alle aziende del settore, come riassume Stefania Maurizi su L’Espresso:
In altre parole, il Tisa rende manifesto che la stessa Europa – che ufficialmente ha aperto un’indagine sullo scandalo Nsa in sede di ‘Commissione sulle libertà civili, la giustizia e gli affari interni’ del Parlamento Europeo (Libe) – sta contemporaneamente e disinvoltamente trattando con gli Stati Uniti la cessione della sovranità sui nostri dati finanziari per ragioni di business. E sui dati, i lobbisti americani della ‘Coalition of services industries’, che spingono per il Tisa, non sembrano avere dubbi: «Con il progresso nella tecnologia dell’informazione e delle comunicazioni, sempre più servizi potranno essere forniti all’utente per via elettronica e quindi le restrizioni sul libero flusso di dati rappresentano una barriera al commercio dei servizi in generale».
LO SCHEMA AMERICANO – Azzerare ogni protezione a difesa della privacy e affidare i dati alle industrie del settore non sembra esattamente compatibile con molte delle legislazioni nazionali dei paesi coinvolti, che però una volta firmato e ratificato il TISA si troverebbero nella sgradevole situazione di dover adeguare le loro leggi al tenore dell’accordo. Che poi è il motivo per il quale questi accordi sono fortemente criticati e anche quello per il quale, da anni, si discutono in gran segreto senza mai concretizzarne uno.
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WASHINGTON NON PASSA – La pressione costante delle grandi corporation, non solo statunitensi, cerca d’introdurre le stesse regole e gli stessi principi in ogni settore e in ogni contesto, siano gli accordi generali di libero scambio, il regime del copyright o, come in questo caso, le regole per il settore dei servizi finanziari. Dall’altra parte, l’opposizione a queste pretese da parte di un gran numero di governi impedisce sistematicamente che questi accordi vedano mai la luce. Vale per il fallimento dei Doha Round come per tutti gli accordi globali o multilaterali in discussione, che da anni non riescono a giungere a una conclusione perché le proposte di Washington sono le uniche sul piatto e non piacciono alla maggioranza dei commensali.