Alberto Stasi: «Vivo nel dolore: parlo con Chiara sulla sua tomba»

26/02/2015 di Redazione

A 71 giorni di distanza dalla sentenza della Corte d’Appello di Milano che lo ha giudicato colpevole di aver ucciso la fidanzata Chiara Poggi e condannato a 16 anni di carcere, torna a parlare Alberto Stasi. «Il verdetto mi ha veramente travolto e ci è voluto tempo per riprendere coraggio. È stata una cosa inaspettata e terribile» racconta in un’intervista a QN Quotidiano Nazionale firmata da Gabriele Moroni. Nel ricordo di Chiara, morta nella sua villa a Garlasco il 13 agosto 2007, Stasi continua a proclamarsi innocente, a raccontare la sua verità e ad appellarsi a chi sa qualcosa: «La mia vita non è facile, affronto tutto giorno per giorno: sopravvivo in attesa di capire cosa potrà succedere».

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LA VERSIONE – Assolto due volte nel 2009 e nel 2011 in primo grado e in Appello, la Cassazione ha poi stabilito che il processo fosse da rifare: nell’Appello bis la condanna a 16 anni. Per Stasi è stato l’inizio di ciò che reputa sia un incubo, una morsa, un incredibile errore giudiziario:

Quando ho perso Chiara avevo appena compiuto 24 anni. Ora ne ho quasi 32 e non passa giorno in cui io non abbia questa tragedia nei miei pensieri. So che è difficile, ma a volte vorrei che gli altri si mettessero al mio posto e potessero anche solo immaginare quello che sto passando. Non lo auguro a nessuno, davvero. Nonostante questo non mi fermerò, continuerò a lottare per la verità

Chiara vive nella memoria dei suoi genitori, dei suoi amici, e anche in quelli del suo fidanzato:

Mi piace ricordarla nei nostri momenti felici. Vado spesso a trovarla al cimitero. Vado a trovarla, le parlo come si fa con una persona alla quale si vuole molto bene, ma che non è più qui

In attesa delle motivazioni della condanna, sul processo infine dice:

Sono ancora fiducioso nella giustizia e sono convinto che ci siano ancora persone competenti, capaci di non farsi influenzare dal tritacarne mediatico, di valutare in modo corretto le carte del processo, che provano, oggettivamente, la mia innocenza

Photocredit copertina Spada/Lapresse

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