Quanta Arabia Saudita c’è nel 9/11?

20/07/2015 di Mazzetta

spese militari saudite

LA LINFA WAHABITA NUTRE IL TERRORISMO –

Che il qaedismo e le varie declinazioni dell’estremismo sunnita che preferiscono la conquista del potere per la via militare a quella politica traggano il loro alimento economico e umano nei paesi del Golfo non è una novità, come non è una novità che diversi principi e alti dignitari delle diverse famiglie reali abbiano finanziato questo o quel gruppo in odore di terrorismo. Per questo non stupisce che in quel che è diventato visibile del rapporto ci sia una frase che ricorda che la CIA ha «speculated» che alcuni ufficiali sauditi sleali possano aver aiutato le azioni di al Qaeda nel 2001. Quella che traspare è quindi al massimo un’apertura alla teoria dei «rogue officials», delle mele marce, che comunque sarebbero pur sempre sauditi di un certo livello che vanno ad aggiungersi al gran numero di sauditi che si è ritrovato tra gli autori materiali degli attacchi del 9/11. Un’evidenza che naturalmente ne rileva l’apporto decisivo. Circostanza che rende abbastanza curiosa anche una dinamica delle indagini orientata a seguire i loro movimenti in giro per il mondo per capire complicità e genesi del piano, ma che ha trascurato o non è riuscita a illuminare i movimenti dei kamikaze del 9/11 che possono aver avuto luogo in Arabia Saudita o negli Emirati. Circostanze da indagare, ancora di più considerando che si tratta di persone indottrinate localmente e per molti versi perfettamente in sintonia con l’islam che è liberamente predicato in Arabia Saudita, nonché promosso all’estero da ministeri e ONG che ad esempio in Pakistan e Afghanistan finanziano le madrasse e combattono l’istruzione pubblica sostenute dal Ministero degli Affari Islamici, principale braccio finanziario dell’evangelizzazione wahabita all’estero e del mantenimento dell’ortodossia all’interno.

LE MELE MARCE CHE STANNO ABBASTANZA IN ALTO –

I membri del Congresso che hanno letto le 28 pagine ancora sigillate hanno riassunto la questione contenuta nel rapporto circoscrivendola tutta al dubbio se la famiglia reale sia stata coinvolta nella preparazione dell’attacco o meno. Il che lascerebbe intendere che le mele marce indicate nel rapporto stiano abbastanza in alto nelle gerarchie saudite, siano quelle secolari o quelle religiose, ma anche in questo caso le indicazioni si limiterebbero a ipotesi e poco più. Come per le indicazioni che indicano il coinvolgimento di membri dell’ambasciata di Washington e del consolato di Los Angeles, circostanza che se confermata trasformerebbe la qualificazione dell’attacco da atto terroristico ad atto di guerra, volenti o nolenti i Saud.

I RAPPORTI SAUDITI CON BIN LADEN –

Eppure quando nel 1990 Osama entrò in rotta di collisione con la monarchia perché dopo un ritorno da eroe dall’Afghanistan gli fu vietato d’attaccare Saddam in Kuwait, il suo violento confronto verbale con la monarchia si risolse in una semplice espulsione e nella revoca della cittadinanza nel 1991. Si rifugerà poi in Sudan da dove sarà espulso nel 1996 e quindi rifugiato in Afghanistan, anni nei quali monterà anche il suo sentimento anti-americano senza che il regno abbia mai provato a liberarsi di lui. Anzi, è del 1998 un accordo con il quale i Saud s’impegnano a fornire assistenza ai talibani e a non chiedere la sua estradizione a Kabul e in cambio Bin Laden s’impegna a non far danni in Arabia Saudita. I sauditi erano anzi l’unico governo al mondo insieme ad Emirati e Pakistan a riconoscere il governo dei talibani e non hanno certo fatto pressioni su Kabul perché cacciasse Bin Laden. Sostegno che abbandonerà precipitosamente dopo il 9/11, iscrivendosi tra i più volenterosi nella War on Terror, circostanza apparentemente straordinaria se si pensa che il regime commina condanne a morte per reati assurdi quali l’insulto al monarca, reato sicuramente commesso da Bin Laden quando ha cominciato a denunciare i Saud come sovrani abusivi e lascivi peccatori. Sicuramente gli ha giovato appartenere a una delle famiglie più importanti del paese, che pure l’ha ripudiato per prenderne le distanze, ma altrettanto sicuramente i Saud non se ne sono liberati a causa delle pressioni interne di segno contrario, anche interne alla famiglia reale, che per anni l’aveva incensato e aveva incassato grande benevolenza dagli americani senza coinvolgere ufficialmente il Regno nel confronto con i sovietici. Il riproporsi della stessa tattica nel supporto all’ISIS in Siria fa ritenere che i sauditi si siano scottati abbastanza con al Qaeda e che continuino a ritenere lo jihadismo estremista un utile strumento per la destabilizzazione di governi e regimi sgraditi, e anche una buona maniera per mandare a morire all’estero i giovani più estremisti e irrequieti.

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