Bersani si smarca (per ora) da D’Alema sul referendum. In attesa di Renzi

01/09/2016 di Alberto Sofia

Isolare il lider Maximo. Ed evitare un asse tra i leader della vecchia Ditta,  Massimo D’Alema e l’ex segretario Pier Luigi Bersani, per blindare l’unità del Nazareno sul referendum costituzionale di autunno. Resta l’antico divide et impera, dividi e governa, la strategia di Matteo Renzi di fronte alle fibrillazioni dem sul passaggio cruciale della legislatura. «Se la gente crede che D’Alema e Berlusconi si possano rimettere insieme per fare le riforme, prego. C’è chi crede alla sirene del Mediterraneo. È una storia di un grande amore che va anche rispettata», replica sarcastico alle “picconate” dell’ex premier.

Su Massimo D’Alema, è l’ordine di scuderia dei vertici dem, vanno concentrati gli attacchi. Il vecchio dirigente «rottamato» ormai pronto a lanciare i comitati della “Centrosinistra per il no” al referendum è l’avversario numero uno per la segreteria Pd, da mostrare come simbolo della conservazione. Il vecchio politico, il passato che ha l’unico scopo di «abbattere Renzi». Ma se la distanza tra i vertici e l’ex premier già schierato sul “No” non è una novità, nemmeno il vecchio corso bersaniano si accoda alla strategia del Lider Maximo. Almeno per ora.

BERSANI E SPERANZA PRENDONO (ANCORA) TEMPO SUL REFERENDUM

Si smarcano, l’ex segretario e i suoi fedelissimi, dall’appuntamento in agenda lunedì 5 settembre al Cinema Farnese, prima riunione politico organizzativa che sarà introdotta dallo stesso D’Alema. Così come dal “No” convinto alla referendum costituzionale. Non è ancora tempo di sbilanciarsi per la minoranza di Bersani, né di strappi. Perché la logica resta ancora quella del penultimatum, già un classico parlamentare per la Ditta. Prendere tempo, aspettando un segnale da Renzi. In attesa di quelle modifiche all’Italicum richieste da mezzo arco parlamentare, evocate pure dall’ex capo dello Stato Napolitano e da pezzi della maggioranza renziana (Franceschini).

Rivendicano ancora il Bersanellum, l’ex segretario Pd e quella fronda della sinistra dem che già non votò l’Italicum in Aula. Ma da Palazzo Chigi i segnali restano ambigui, non c’è alcuna certezza di modifiche. E non è un caso che tra i bersaniani si attenda ormai il discorso del premier alla chiusura della Festa nazionale dell’Unità, l’11 settembre a Catania.

IL NODO ITALICUM E L’ATTESA PER IL DISCORSO DI RENZI A CATANIA

L’ultimo atto prima del ‘liberi tutti‘ per la minoranza Dem? «Chiaro che se non otterremo risposte sulle due leggi elettorali di Camera e Senato e se non verranno rispettati gli accordi (sull’elettività di Palazzo Madama, ndr), ognuno prenderà la sua strada», spiegano fonti della minoranza. Ma la Ditta prende tempo. E torna a staccarsi dalla linea incendiaria dell’ex premier, che da mesi invoca lo strappo contro Renzi e agita pure l’ombra della scissione.

Non è la prima volta che tra Bersani e D’Alema non c’è sintonia. Era già successo a Perugia, nella kermesse della minoranza, prima tappa dell’investitura di Roberto Speranza come sfidante al prossimo Congresso del partito, dove l’ex segretario e i suoi non raccolsero le provocazioni dalemiane. Poco è cambiato, almeno per ora. Perché Bersani punta ancora a fare pressione su Palazzo Chigi e sulla segreteria dem prima di una decisione definitiva. Anche per spiegare, in caso di nuova chiusura dei vertici, il cambio in corsa rispetto a una legge già votata in Parlamento. Una partita a scacchi.

«D’Alema? La posizione mia e di altri della minoranza è differente», precisa pure il senatore Federico Fornaro, bersaniano doc a Palazzo Madama. «Lui ha già deciso per il ‘no’ da esponente che non ha responsabilità in Parlamento. La sua è una posizione autorevole, ma io ho votato a favore della riforma costituzionale e contro l’Italicum. Siamo ancora in attesa di Renzi».

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Certo, la posizione non è unanime. Perché c’è chi spinge anche tra i bersaniani per formalizzare il “No” il prima possibile. Con tanto di documento politico, che però –  precisano fonti “dem” – «è ancora prematuro». Ma non è la linea di Speranza, né quella maggioritaria. «Vediamo che dice alle Feste dell’Unità…»,precisa pure David Zoggia.

LA FRONDA CHE SEGUE GIÀ D’ALEMA

Il rischio, però, è che la scelta arrivi fuori tempo massimo. Tanto da far fatica pure a intestarsi un eventuale battaglia per il no, di fronte alla presenza “ingombrante” di D’Alema. Non è un caso che altri parlamentari, seppur soltanto una piccola fronda, si siano già da settimane accodati alle posizioni del Lider Maximo. Tra bersaniani, indipendenti, bindiani, ex civatiani: i senatori Paolo Corsini, Nerina Dirindin, Luigi Manconi, Claudio Micheloni, Massimo Mucchetti, Lucrezia Ricchiuti e Walter Tocci (l’unico che aveva già aveva votato contro il ddl Boschi), ma anche i deputati Luisa Bossa, Angelo Capodicasa. E il prodiano Franco Monaco. Tanto che c’è la possibilità che alcuni di loro siano presenti pure al cinema Farnese al primo passo dei comitati organizzati da D’Alema. Non ci sarà, perché all’estero, Felice Casson, altro senatore della minoranza che fa però già parte del comitato per il “No” di Pace e Zagrebelsky.

In totale, tra i parlamentari di area bersaniana e non solo, sarebbero almeno una quarantina quelli pronti a firmare un documento sul “no” se Renzi non si esporrà sulle leggi elettorali. «Non voglio polemizzare con Bersani, ma è chiaro che nessuno cambierà l’Italicum prima del referendum», ha già avvertito da giorni D’Alema. Bersani e Speranza attendono almeno un segnale.

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