Bruno Contrada e le sue troppe ambiguità

13/10/2012 di Maghdi Abo Abia

UN TRADITORE – Semplice. Come spiega 18 luglio 1992, per molti, anzi, per tutti, Bruno Contrada era un traditore dello Stato. Viene ricordata un’immagine molto forte relativa a Giovanni Falcone. Al termine dell’interrogatorio a seguito del delitto di Piersanti Mattarella, Contrada strinse la mano ad entrambi se ne andò. Falcone guardò Antonino Caponnetto e si pulì la mano sui pantaloni. Contrada non ispirava fiducia. Boris Giuliano, il “padre” della squadra mobile di Palermo, ucciso dalla Mafia nel 1979, non credeva in lui. E non credevano in lui neanche Beppe Montana, Ninnì Cassarà, lo stesso Falcone e Paolo Borsellino.

TESTIMONIANZE INCROCIATE – Contrada venne ritenuto colpevole del reato di associazione a delinquere pluriaggravata fino al 29 settembre 1982, e di associazione mafiosa da quel momento in poi. Per le varie corti non poteva esserci neanche uno spiraglio di innocenza. E’ bastato incrociare le testimonianze dei vari pentiti, i quali hanno creato una rete talmente fitta da non lasciare adito a nessun dubbio.

GOLA PROFONDA – Ai tempi della morte di Giuliano, Contrada frequentava senza scorta, un appartamento in via Guido Jung, messogli a disposizione dal Angelo Grazione, costruttore mafioso. Rosario Riccobono rassicurò Tommaso Buscetta, desideroso di tornare in Brasile con la sua famiglia, dicendogli: “Stai tranquillo, io ho il dottore Contrada che mi avvisa se ci sono perquisizioni o ricerche di latitanti in questa zona. Qua puoi stare tranquillo”. Giuseppe Marchese, uomo vicino a Totò Riina e primo “pentito” dei corleonesi aggiunse: “Mio zio Filippo mi tirò da parte e mi disse di andare ad avvisare, dice, u zu Totuccio e ci dici fici sapiri u dottore Contrada che hanno individuato la località dov’è che praticamente lui stava, dice che nella mattinata dovrebbero fare qualche perquisizione”.

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