La Caporetto della minoranza Pd
30/09/2014 di Marco Esposito
Con degli avversari così, vincerebbe quasi chiunque. E’ spianata la strada che trova davanti a sé Matteo Renzi alla direzione del Pd di lunedì. E’ un gioco per il segretario/premier ottenere quello che vuole: una rapida e imponente approvazione del documento sul Jobs Act.
Certamente si è lavorato per cercare una mediazione che tenesse tutti (o quasi) dentro, ma alla fine – anche grazie agli interventi di D’Alema, Bersani e Giachetti – il Pd non è rimasto compatto. E, certamente, dopo una discussione così intossicata dai risentimenti personali, sarebbe stato difficile rimanerlo.
La spaccatura interna, dicevamo. Poco male agli occhi del Premier. Sia perché per Matteo Renzi – a differenza dei suoi predecessori, da Veltroni a Bersani – un eventuale voto diverso dell’opposizione in direzione non è un dramma, sia perché la comunicazione renziana necessita di un contraltare, di un qualcosa cui contrapporsi.
E anche per questo che Matteo Renzi può sorridere a fine serata: con questi avversari la sua leadership ha poco da temere. Infatti, sia l’intervento di Massimo D’Alema, sia quello di Pier Luigi Bersani, più che politici erano interventi pieni di risentimento personale.
Soprattutto quello dell’ex Presidente del Consiglio è sembrato un intervento pieno di livore, enunciato più per cercare di gettare addosso a Renzi il suo sarcasmo che per mantenere fede ai propri principi. E sotto questo profilo, per esempio, la differenza con l’intervento di Gianni Cuperlo, più orgoglioso e politico, è stata piuttosto notevole.
Poi, al momento della conta, la perla finale: la scissione dell’atomo. La minoranza è riuscita a dividersi in mille rivoli, votandosi così alla più completa irrilevanza. Mentre i “giovani turchi” votavano, come d’abitudine ormai, con il Premier, Bersani, D’Attorre, D’Alema, Civati e i suoi votavano contro il documento presentato da Renzi, invece il capogruppo Roberto Speranza, bersaniano, preferiva la via dell’astensione.
Una minoranza, quella interna al PD, che sembra impotente non tanto e non solo per lo strapotere dei numeri del Premier, ma perchè sembra in qualche modo prigioniera della sconfitta personale dei suoi (ex) leader. Diciamoci la verità: ogni volta che D’Alema, Bindi o Bersani si scagliano contro Renzi, il segretario democratico vede aumentare i propri consensi. E’ ormai diventato impossibile riconoscere, o meglio tenere separate, le critiche politiche dell’ex gruppo dirigente democratico, dalla sete di rivincita.
Se la sinistra dem vorrà tornare a parlare in maniera costruttiva agli italiani, e a dare un contributo valido al proprio partito sarà costretta – per usare parole dello stesso Bersani – a far girare la ruota. Detto in parole povere: a trovare altri dirigenti.