Charlie Hebdo chi?
08/01/2015 di Boris Sollazzo
Charlie Hebdo. Siamo tutti Charlie Hebdo. Lo stiamo leggendo ovunque. Ma la verità è che tre pazzi fanatici che sarebbero ben figurati in una delle loro vignette – sbagliano portone all’inizio del blitz, dimenticano la patente nell’auto con cui fuggono e che poi lasciano (ah, se solo Cabu, Charb, Wolinski e Tignous fossero qui a prenderli in giro) – hanno colpito loro perché erano diversi da noi. Perché avevano coraggio e lucidità, perché, come ha detto Val, ex direttore del giornale, ieri alla radio nazionale, accendevano la luce laddove tutti la spegnevano. Philippe, con la voce rotta ma allo stesso ferma, non ha voluto cercare la compassione ma, come in uno dei loro disegni, ha voluto spogliare le ipocrisie di chi aveva lasciato soli quelli che lui chiama “i migliori di noi”. E lui lo sa bene, visto che li ha avuti con sé 17 anni, dal 1992 al 2009. E ieri, mentre parlava, non c’era rabbia nella sua voce, solo la consapevolezza di essere sempre stati emarginati, lasciati isolati nella loro battaglia di libertà, incompresi. Forse non abbiamo armato noi quei tre francesi, di provenienza algerina. Ma sicuramente gli abbiamo aperto la porta, gli abbiamo indicato l’indirizzo. Non abbiamo sparato noi, ma i proiettili che hanno abbattuto e decapitato quella redazione geniale sono i nostri.
Philippe Val : “Un courant de l’Islam est en… by FranceInfo
Se Jacques Chirac, da presidente della Repubblica, definisce, a suo tempo, la scelta di Charlie Hebdo di pubblicare le vignette danesi su Maometto come “un’aperta provocazione”, se il Financial Times parla di “stupidità editoriale” e di fatto giustifica l’attentato, se quel geniale periodo satirico ha più volte dovuto fermarsi, no, non siamo tutti Charlie Hebdo. E non raccontiamoci la balla dell’islamofobia: ricordate la copertina titolata “Intouchables 2”, citando il successo del film Quasi amici? Ebrei e musulmani ridicolizzati nei loro fanatismi. E fantasmi. E nel 2006? Charlie ospita una presa di posizione a favore di Oriana Fallaci. Sì, a favore. Erano libertà pura e mai faziosa, ossigeno per un mondo inquinato: chiusero i battenti e cambiarono nome, la prima volta, per aver preso in giro De Gaulle. Il giorno dopo la sua morte. De Gaulle.
E riderebbero parecchio, infine, di Marine Le Pen che li difende e li piange, magari la ritrarrebbero in quel grottesco contesto con tre bandiere francesi alle spalle, quasi si sentisse già all’Eliseo.
No, non lo siamo mai stati Charlie, noi. Perché la satira vera e coraggiosa ci ha sempre fatto paura. A noi, in Italia ad esempio, piace quella faziosa e rassicurante, contro nemici conosciuti e su cui c’è un bel mirino da anni. E al massimo si sparano innocui proiettili di gomma.
Loro no. Mancherà Wolinski e quell’estetica libera e sexy, mancherà Cabu che sapeva sempre mettere il dito nella piaga più dolorosa, mancherà la tenera velenosità di Tignous. E mancherà Charb, il direttore, che ora ha lasciato editoriali e interviste tanto belli e potenti che tutti, qui, ci riempiono i loro status su Facebook. Perché è il massimo che riusciamo a fare.
Leggeteli, guardateli, scorreteli. Oggi, fatelo oggi. Proverete un sentimento di estraneità. Perché quel coraggio leonino rende la frase un po’ retorica – lo disse anche lui prima di pronunciarla – di Charbonnier, vera. “Preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio”.
Li ha chiamati “banda d’idioti” i fondamentalisti islamici, lui. Come ha fatto con la destra francese, come si è divertito con Hollande. Come sempre, quando c’era da mostrare le falle del Sistema. Con un tratto di matita, un’inchiesta, un editoriale.
Vorrei Wolinski, ora, a vergare un foglio con una matita. Per fare una foto di gruppo di chi, ridicolizzato per anni da lui, da loro, ha pensato bene oggi di farsi paladino della loro libertà stuprata.
Charlie Hebdo stava chiudendo. Prima di quegli spari. Charlie Hebdo non ha mai trovato davvero cittadinanza in Francia o fuori. Charlie Hebdo è stata colpita perché difendeva una libertà che noi ormai non meritiamo da anni, perché si ostinava a credere e difendere valori su cui noi abbiamo costruito i nostri paesi, le nostre culture, i nostri ideali. Per poi dimenticarceli. Charlie Hebdo sono loro. Erano loro. E basta.