Chi ha paura del carbone pulito?
30/04/2014 di Maghdi Abo Abia
Il futuro energetico del nostro Paese passa dal carbone pulito? L’Italia, nel tentativo di limitare la propria dipendenza energetica dall’estero negli ultimi anni ha investito molto in risorse alternative e rinnovabili. Tuttavia gli investimenti nel carbone non sono mai rallentati ed oggi il Paese si trova ad avere a che fare con 13 impianti sottoutilizzati che potrebbero dare un’enorme sollievo al nostro fabbisogno energetico. Ma i dubbi sono tanti.
QUANTO VALE IL CARBONE IN ITALIA – Secondo i dati raccolti dal National Geographic, in Italia esistono 13 centrali che producono il 12 per cento del mix energetico nazionale, una quota minima se paragonata ai dati diffusi da Assocarboni secondo coi in Europa il carbone pesa per il 33 per cento del fabbisogno energetico mentre la media mondiale è del 40 per cento. Secondo Andrea Ciavarino, presidente di Assocarboni, l’Italia dovrebbe sfruttare il carbone pulito, una nuova tecnologia in grado di mitigare quelle che sono le conseguenze ambientali date dall’uso del carbone coniugando una maggiore produttività energetica ed una migliore indipendenza del nostro Paese da fonti estere, indipendenza che si tradurrebbe anche in un aumento dei posti di lavoro.
GLI SCARTI INQUINANTI – Il carbone ad oggi emette 800 grammi di Co2 per ogni chilowattora di energia prodotta. Un valore alto se confrontato con lo scarto del metano, i cui residui ammontano a 350 grammi per chilowattora, e l’assenza di emissioni per fotovoltaico e nucleare. E tale dato riguarderebbe il carbone trattato e reso per l’appunto “pulito”. Il procedimento per la trasformazione di tale combustibile prevede la frantumazione del carbone per eliminare le impurità ed i minerali che appesantiscono la produzione inquinando l’aria. La frantumazione è seguita poi da un passaggio dentro un filtro che separa le impurità per gravità. Infine la rimanenza viene immersa in un fluido che permette il galleggiamento del carbone con conseguente rimozione degli scarti affondati.
LA STRADA DA SEGUIRE? – Il punto è dato dal fatto che il carbone ancora oggi viene identificato come il sistema più economico in assoluto per produrre energia elettrica. E se si pensa di poter risolvere i problemi legati all’inquinamento chimico, resta ancora molto da fare per le concentrazioni di Co2 nell’atmosfera, in quanto al momento qualsiasi progetto destinato a mitigare la produzione di anidride carbonica non è risultato soddisfacente. Tuttavia, secondo Assocarboni, è questa la strada da seguire visti anche gli investimenti pari a sei miliardi di euro nel settore del carbone pulito, settore che vede l’Italia all’avanguardia rispetto ai propri concorrenti. E nello specifico viene rimarcato il risultato della centrale di Civitavecchia, definita un gioiello di efficienza.
LE CENTRALI ITALIANE – Le centrali a carbone in Italia si trovano in otto regioni così suddivise: in Lombardia c’è Brescia, in Veneto Fusina e Marghera, in Friuli-Venezia Giulia Monfalcone, in Liguria Genova, La Spezia e Vado Ligure, in Sardegna Fiume Santo e Sulcis, nel Lazio Torre Valdaliga Nord, nei pressi di Civitavecchia, in Umbria Bastardo ed in Puglia Brindisi Nord e Brindisi Sud. Ci sarebbero altri due impianti da considerare, quello di Porto Tolle e di Saline Joniche. Il primo ha visto la vautazione d’impatto ambientale bocciata dal Ministero dell’Ambiente mentre la seconda è oggetto di vibrate proteste da parte della popolazione di Montebello Jonico, comune della provincia di Reggio Calabria, dove sorgerà la costituenda centrale.
I GUAI DI PORTO TOLLE – Come spiega Qualenergia, per quanto riguarda la questione di Porto Tolle, il parere della commissione Via ha di fatto bloccato il processo di conversione a carbone della centrale di Porto Tolle. Il progetto è stato definito carente e contraddittorio tanto che la procedura d’autorizzazione per il progetto dovrà ripartire dall’inizio. Peraltro Enel per la centrale di Porto Tolle è stata condannata nella figura degli ex vertici per i danni ambientali dall’impianto a olio combustibile a causa di condotte che, secondo la magistratura, hanno messo in pericolo la comunità in termini d’inquinamento ambientale ed atmosferico. I condannati, Franco Tatò e Paolo Scaroni, hanno riferito che avrebbero impugnato la sentenza in appello.
3,6 MILIARDI DI EURO DI DANNI? – Il pronunciamento in primo grado però è stato appresantito da una perizio dell’Ispra che stima un danno da parte di Enel di 3,6 miliardi di euro. E di questi soldi, 2,6 miliardi dovrebbero coprire i danni sanitari ed ambientali causati dal mancato adeguamento della centrale di Porto Tolle agli standard tecnologici previsti dalle normative. La mancata autorizzazione di Via ha fatto esultare Wwf e Greenpeace secondo cui la conversione a carbone di una centrale nel mezzo di un parco naturale, in un ecosistema fragile e prezioso, rappresenta una sciocchezza enorme specie se si considera che il nostro Paese, hanno continuato le associazioni ambientaliste, detiene un parco di generazione elettrica doppio rispetto alle necessità di consumo nazionali.